Isterectomia totale e parziale: intervento, rischi e convalescenza

Introduzione

L’isterectomia è l’intervento chirurgico che consiste nell’asportazione dell’utero.

In alcuni casi si esegue un’isteroannessiectomia, viene cioè associata l’asportazione delle ovaie (mono- o bilaterale) e/o delle tube di Falloppio (che collegano le ovaie all’utero, in questo caso di parla di isterosalpingectomia).

L’intervento viene proposto in base al quadro clinico della paziente, in particolare quando la terapia farmacologico non rappresenta più un’alternativa praticabile.

L’intervento ha durata variabile (30/40’ fino a oltre 2 ore) in base alla tecnica utilizzata e alla situazione anatomica di fronte la quale si trova il chirurgo.

La degenza è di circa tre giorni in assenza di complicanze; dal giorno successivo all’intervento si può riprendere un’alimentazione regolare, successivamente si consiglia un periodo di convalescenza di 4-6 settimane, con astensione da sforzi fisici. Il chirurgo informerà la paziente sull’eventuale terapia domiciliare (antitrombotica, antibiotica) e sulla cadenza dei controlli post-operatori ambulatoriali.

Le indicazioni all’intervento sono molteplici, tra quelle assolute (ovvero quando l’operazione sia l’approccio di elezione senza reali alternative) compaiono:

  • lesioni maligne, per lo più rappresentate da carcinomi dell’endometrio e della cervice uterina (collo dell’utero) o carcinomi delle ovaie che possono interessare l’utero (in caso di tumori delle ovaie l’utero viene sempre asportato quando la donna è già in menopausa);
  • eccessivo aumento volumetrico dell’utero (solitamente in caso di peso superiore a 800 g);
  • fibromatosi uterina: presenza di fibromi, ovvero tumori benigni che si sviluppano diffusamente all’interno del muscolo uterino; nella maggior parte dei casi non causano problemi e le dimensioni si riducono dopo la menopausa, mentre talvolta possono causare forti sanguinamenti con conseguente comparsa di
    • anemia,
    • dolore,
    • sintomi da compressione delle vie urinarie e dell’ultimo tratto dell’intestino;
  • prolasso uterino totale: l’utero si abbassa e sprofonda nella vagina; tale fenomeno dipende dai muscoli e dai tessuti poco tonici o allentati.

Le indicazioni relative, ovvero le condizioni in cui l’intervento non è sempre necessario, comprendono:

  • sanguinamenti irregolari, menometrorragie (sanguinamenti eccessivi e prolungati durante la mestruazioni o al di fuori del periodo mestruale): solitamente sono fenomeni di natura disfunzionale, si verificano maggiormente nel periodo perimenopausale e quindi devono essere trattati con una terapia ormonale. Altre volte possono dipendere dall’uso di contraccettivi orali (7%), oppure conseguenti alla presenza di formazioni quali polipi, miomi, iperplasie adenomiosi (fibromatosi);
  • endometriosi: condizione in cui il tessuto dell’endometrio (la membrana che riveste l’interno dell’utero) comincia a crescere all’esterno dell’utero e sugli organi circostanti. Tale condizione è causa di mestruazioni dolorose, perdite di sangue anomale e difficoltà a restare incinta.
    L’endometriosi tende a migliorare dopo la menopausa.

L’intervento chirurgico

Esistono diverse tecniche chirurgiche di asportazione dell’utero e la scelta dipende da fattori quali

  • motivo dell’operazione,
  • stato di salute generale della paziente
  • preferenza/esperienza del chirurgo.

La più praticata è attualmente l’isterectomia laparoscopica, una tecnica che richiede la pratica di piccole incisioni sull’addome attraverso le quali vengono introdotti gli strumenti necessari al chirurgo, senza che sia necessario introdurre direttamente le mani nella cavità addominale ed evitando così il taglio classico.

Isterectomia laparoscopica, semplificazione

iStock.com/Graphic_BKK1979

Tale tecnica, possibile in presenza di uteri fino a 1500 g di peso (1.5 kg), presenta i seguenti vantaggi

  • meno dolore,
  • ridotto rischio di infezione,
  • degenza più breve,
  • migliore risultato estetico,
  • ritorno più rapido a tutte le normali attività incluso il lavoro.

Non tutti i chirurghi sono in grado di operare attraverso questa tecnica, tanto che ancora oggi molte isterectomie vengono eseguite tradizionalmente, con il taglio sull’addome. L’intervento può essere eseguito in anestesia generale o spinale (con la quale si esegue una puntura di anestetico a livello lombare che addormenta dall’addome in giù).

La tecnica classica laparotomica (a cielo aperto) consiste invece nell’asportazione dell’utero attraverso l’addome, mediante un taglio che può essere

  • verticale mediano (ombelico-pubico),
  • trasversale sovrapubico ( incisione di Pfannenstiell).

Questa era la tecnica più usata nel passato, più invasiva per la paziente, che comporta

  • una cicatrice visibile permanente,
  • dolore post-operatorio per le trazioni e sezioni dei fasci muscolari,
  • una degenza più lunga,
  • un recupero più lento,
  • maggior rischio di infezioni,
  • possibilità di laparocele (ernia interna con fuoruscita dei visceri contenuti nella cavità addominale attraverso una breccia della parete formatasi in fase di consolidamento cicatriziale della ferita)
  • e deiscenza (riapertura) della ferita;

Di norma ad oggi questa tecnica è riservata ai soli casi di utero superiore a 1500 g di peso o in situazioni di particolare difficoltà, per esempio in addomi che hanno subìto altri interventi chirurgici che hanno comportato la comparsa di severe aderenze (cicatrici interne) o in condizioni di emergenza.

L’ultima possibilità consiste nell’intervenire attraverso la via vaginale: si esegue l’isterectomia dalla vagina, la tecnica è semplice e rapida, offre moltissimi vantaggi come

  • la mancanza di dolore,
  • nessuna cicatrice visibile,
  • rapida ripresa;

Il ricorso a questa tecnica è purtroppo limitato da alcuni fattori, tra il fatto di non poter essere eseguita per uteri molto grandi o poco mobili (pazienti che hanno avuto diversi interventi chirurgici o tagli cesarei che rendono l’utero fisso e aderente, condizione che aumenta il rischio di emorragia).

Isterectomia parziale, totale e radicale

Anatomia semplificata dei diversi approcci all'isterectomia

iStock.com/Anastasiia Krasavina

L’isterectomia può essere

  • radicale (asportando utero, tube, ovaie, la prima parte della vagina e i linfonodi strettamente correlati)
  • totale (asportando tutto l’utero, eventualmente insieme a tube ed ovaie)
  • o subtotale (o parziale, asportandone una parte, lasciando intatto il collo dell’utero), possibile in caso di patologie del solo corpo dell’utero, come ad esempio i miomi. Nei casi selezionati, la decisione di fare un intervento subtotale deve essere valutata e discussa con la paziente.

I vantaggi dell’isterectomia subtotale comprendono:

  • riduzione del rischio di successivo prolasso degli organi pelvici, dovuto al fatto che il collo e le strutture di sostegno del pavimento pelvico sono un sistema unitario: risparmiando queste strutture e alcuni legamenti (che vengono invece asportati nell’isterectomia totale) non si interrompono strutture di sostegno importanti per mantenere in sede gli organi pelvici (vescica, intestino);
  • un intervento meno invasivo con meno rischi di lesioni agli ureteri e alla vescica;
  • la donna conserva una parte di un organo che, anche se senza più grande utilità o funzione fisiologica, acquisisce un importante valore psicologico ed emotivo che si riflette sull’autostima e sulla sessualità;
  • migliore sessualità, che si spiega grazie alla persistenza della lubrificazione, al fatto che la cervice rimane intatta come anche l’innervazione. Inoltre per la donna mantenere una parte di utero è un fattore psicologicamente positivo, essendo comunque un organo legato al divenire donna;
  • riduzione del dolore e recupero più veloce, perché i tessuti del pavimento pelvico rimangono integri.

Uno svantaggio di questa tecnica consiste nella necessità di continuare a fare i controlli per la diagnosi precoce di eventuali tumori del collo dell’utero (pap-test e colposcopia).

Preparazione all’intervento

Prima di essere sottoposta all’intervento, la paziente viene valutata oltre che dal chirurgo anche dall’anestesista,

  • procedendo con analisi ed esami strumentali pre-operatori considerati necessari,
  • valutando le eventuali patologie presenti (cardiopatie, obesità, ipertensione, allergie…).

Quando rimuovere anche le ovaie?

La rimozione delle ovaie si chiama annessiectomia (rimozione degli annessi).

Nelle donne sotto i 50 anni e non ancora in menopausa è sempre bene lasciare le ovaie, se durante l’intervento non appaiono patologie visibili. Dopo i 50 anni o comunque in donne già in menopausa la questione rimane controversa.

Posto che la situazione va sempre discussa preventivamente con il proprio ginecologo, gli elementi presi in considerazione sono:

  • rischio potenziale di sviluppare cancro alle ovaie,
  • mancanza di ormoni che le ovaie continuano comunque a produrre dopo la menopausa e che possono risultare di difficile sostituzione farmacologica.

Complicanze

Oltre alle complicanze generiche di tutti gli interventi chirurgici, tra cui quelle legate all’anestesia, le più importanti e specifiche sono:

  • emorragie, sia intra che post-operatorie. Sanguinamenti vaginali che richiedono l’uso di assorbenti sono normali per alcune settimane dopo l’intervento, dopo di che le mestruazioni della paziente cesseranno definitivamente e naturalmente non sarà più possibile per la paziente avere una gravidanza
  • lesioni vescicali, che se non riconosciute possono dare origine a fistole (tratti di comunicazione anomala tra due organi), lesioni ureterali quali sezione dell’uretere, danno termico da elettrobisturi con successiva occlusione o fistolizzazione, legatura accidentale dell’uretere. Oggi la maggior parte delle complicanze può essere trattata e risolta per via laparoscopica incluse le lesioni ureterali
  • insorgenza di infezioni
  • peggioramento dell’incontinenza da urgenza,
  • stitichezza,
  • cistiti recidivanti.

Conseguenze

La maggior parte delle donne non nota alcuna differenza nella propria risposta sessuale dopo l’isterectomia e, molte, riferiscono un miglioramento.

È tuttavia normale che la donna provi un senso di perdita dopo l’asportazione dell’utero.

Se insieme all’utero vengono asportate entrambe le ovaie la menopausa avrà inizio immediatamente a seguito all’intervento; tra i sintomi della menopausa possono comparire

Per alleviare questi sintomi si può ricorrere a terapie ormonali o locali (lubrificanti o a sua volta ormonali).

Le donne sottoposte a intervento di isterectomia sono soggette a un anticipo di menopausa di circa 2 anni, nonostante siano conservate le ovaie; a meno di controindicazioni, le ovaie devono essere sempre lasciate in sede nelle donne non ancora in menopausa, così da evitare i disturbi legati alla menopausa precoce dovuti al deficit ormonale conseguente.

È importante valutare prima dell’intervento non solo le indicazioni strettamente mediche, ma anche eventuali problemi psicologici e sessuali, che vanno trattati prima, perché potrebbero persistere e peggiorare il vissuto dell’intervento e la qualità della vita, poi.

La possibilità di iniziare una terapia ormonale sostitutiva deve essere discussa col ginecologo, in quanto le indicazioni su tempi e modalità dipendono molto dal motivo iniziale dell’intervento (specie in caso di patologia maligna) e dal tipo di intervento eseguito. Nei casi favorevoli è sempre bene attuare la terapia ormonale sostitutiva quanto prima e protrarla fino a 51 anni, in modo tale da permettere alla paziente di avere una qualità della vita paragonabile a quella delle donne non sottoposte all’intervento di isterectomia. La terapia ormonale sostitutiva presenta inoltre altri vantaggi (soprattutto quella con soli estrogeni che viene utilizzata in caso di isterectomia semplice): diversi studi scientifici infatti hanno dimostrato come sia protettiva nei confronti del cancro del colon e, anche se in misura minore, della mammella, oltre che una riduzione del rischio cardio-vascolare.

Quanto durano le perdite di sangue dopo la rimozione dell’utero?

La perdita vaginale di sangue o di tipo cremoso-brunastro è un evento previsto e normale, la cui durata è in genere compresa tra qualche giorno e qualche settimana; va tuttavia notato che le perdite sono in genere minime, se abbondanti queste vanno segnalate al chirurgo.

 

 

A cura della Dr.ssa Elisabetta Fabiani, medico chirurgo

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Revisione a cura del Dott. Roberto Gindro (fonti principali utilizzate per le analisi http://labtestsonline.org/ e Manual Of Laboratory And Diagnostic Tests, Ed. McGraw-Hill).

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