Campylobacter (jejuni, coli, …): contagio, sintomi e cura

Cos’è il Campylobacter?

Il Campylobacter è un batterio Gram negativo (detto così per via della colorazione che assume questa tipologia di germe quando trattato con colorante Gram) responsabile della campilobacteriosi, una malattia che si trasmette dagli animali all’uomo (zoonosi); è rilevante dal punto di vista clinico perché si stima che rappresenti la quarta causa di gastroenterite a livello mondiale, sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo.

Si conoscono circa 30 specie appartenenti al genere Campylobacter, tra le più caratterizzate e rilevanti per le infezioni nell’uomo ricordiamo

  • Jejiuni, responsabile della maggior parte dei casi di gastroenterite nell’uomo, con incidenza persino maggiore rispetto ai più noti Salmonella, Escherichia Coli e Shigella
  • Coli, responsabile dell’1-25% dei casi di diarrea da Campylobacter
  • Fetus, il primo ad essere classificato, responsabile delle infezioni nei soggetti immunodepressi e nel feto
  • Iari, isolato prevalentemente nei molluschi, negli uccelli acquatici e in alcuni mammiferi
Campylobacter

Getty/KATERYNA KON/SCIENCE PHOTO LIBRARY

Contagio

Il Campylobacter si trasmette per via orale, a seguito di ingestione di bevande o cibi contaminati, oppure per contatto con animali infetti; il contagio diretto tra umani è invece piuttosto raro. Gli alimenti a maggior rischio per la trasmissione del batterio sono

  • acqua o bevande contaminate
  • alimenti crudi contaminati e non adeguatamente lavati
  • frattaglie crude
  • pollame, soprattutto se proveniente da allevamenti intensivi – il campylobacter è un batterio commensale nel pollo (i batteri commensali sono batteri che colonizzano un organismo, senza arrecare danni), dunque carne di pollo e derivati possono rappresentare potenziali veicoli di contagio
  • carne macinata contaminata
  • molluschi consumati crudi

A differenza delle Shigella, il Campylobacter è meno resistente all’acidità gastrica: quest’ultima può quindi rappresentare una buona difesa nei confronti del contagio, salvo nei soggetti che facciano uso di farmaci antiacidi – che risultano pertanto maggiormente esposti al rischio.

Il C. jejiuni e il coli sono purtroppo resistenti al calore, quindi anche un’adeguata cottura del cibo – se contaminato- potrebbe non rappresentare una garanzia di sicurezza.

Incubazione

Il periodo di incubazione, ovvero il tempo che intercorre tra contagio e sviluppo dei primi sintomi, varia da pochi giorni a una settimana.

Sintomi

I sintomi più comuni dell’infezione da Campylobacter sono

Complicazioni

Nei casi più gravi – soprattutto quando ad essere colpiti sono soggetti anziani o immunocompromessi – la campilobacteriosi può degenerare in meningite, batteriemia (infezione del sangue), neuropatie (sindrome Guillain-Barré), artrite reattiva (2-5% dei casi), sindrome del colon irritabile (33% dei casi).

Gravidanza

In caso di gravidanza l’infezione, se non adeguatamente trattata, può portare all’aborto.

Diagnosi

Poiché i sintomi dell’infezione da Campylobacter sono comuni a quelli di altri parassiti gastrointestinali, la diagnosi corretta può essere fatta sono attraverso l’analisi delle feci – che restano positive per diverse settimane dopo il contagio.

Cura

La maggior parte dei casi di campilobacteriosi, in soggetti sani, si risolve spontaneamente nel giro di una settimana, senza necessità di ricorrere all’uso di antibiotici. È comunque sempre raccomandata la reidratazione del paziente, in ragione della cospicua perdita di liquidi a seguito della diarrea protratta.

La terapia farmacologica è invece indicata nei casi più gravi e nei pazienti a rischio, che manifestino oltre alla diarrea sintomi sistemici come febbre, brividi, sangue nelle feci (dissenteria). Gli antibiotici solitamente utilizzati per contrastare la campilobacteriosi sono fluorochinoloni, eritromicina e tetracicline.

Purtroppo, come nel caso di altri ceppi batterici (tra cui la stessa salmonella) esiste il problema della resistenza agli antibiotici, che rende in taluni casi la terapia inefficace. Il problema riguarda non solo gli antibiotici utilizzati nell’uomo, ma anche quelli frequentemente utilizzati negli allevamenti intensivi: è stato ad esempio rilevato che l’utilizzo di fluorochinoloni nel bestiame porta allo sviluppo di forme di Campylobacter resistenti a questi antibiotici; tale resistenza si manifesta sia nelle infezioni animali che in quelle umane.

Prevenzione

In generale, nelle situazioni quotidiane, valgono le raccomandazioni legate al buon senso:

  • Lavarsi molto bene le mani prima di manipolare il cibo dopo essere stati a contatto con animali domestici
  • Lavarsi molto bene le mani prima e dopo aver manipolato carne o pesce crudi, in modo da evitare il fenomeno della cross-contaminazione (ossia del trasferimento di eventuali germi da un cibo all’altro)

In situazioni potenzialmente a rischio (per esempio viaggi e permanenze in Paesi ove l’infezione sia endemica), è assolutamente indispensabile

  • lavare molto bene frutta e verdura con acqua potabile, specialmente se consumate crude
  • evitare il consumo di carne o pesce crudi

Latte pastorizzato e acqua potabile rappresentano due metodi efficaci per scongiurare l’infezione da Campylobacter, così come il trattamento delle carni di pollo macellate (tramite pastorizzazione o irradiazione con raggi gamma).

Purtroppo, nonostante gli oltre 30 anni di ricerca alle spalle, le informazioni in merito ai fattori che possono favorire l’insorgenza e la diffusione dell’infezione e alle strategie per contenerla sono ancora insufficienti: la campilobacteriosi rimane tuttora l’infezione di origine animale prevalente a livello mondiale.

Curiosità in pillole

  • La prima infezione da Campylobacter fu descritta nel 1913 da McFaydean e Stockman, che avevano individuato un germe che causava l’aborto in pecore e gatti. Questo batterio rimase senza nome fino al 1919, quando fu isolato da Smith e Taylor in un feto bovino: per via della forma a spirale, fu inizialmente associato al genere Vibrio e denominato quindi Vibrio fetus. Solo più tardi, nel 1973, il batterio fu riconosciuto come appartenente al genere Campylobacter (descritto pochi anni prima, nel 1963) – e fu quindi rinominato Campylobacter Fetus.
  • L’incidenza del Campylobacter come causa di malattia nell’uomo rimase sconosciuta fino agli anni ’70 del secolo scorso, quando fu isolato in alcuni campioni di feci umane prelevate da pazienti con diarrea e febbre alta.
  • Il ruolo della carne di pollo nella diffusione del Campylobacter nell’uomo emerse in modo lampante in occasione della cosiddetta crisi della diossina, che colpì il Belgio nella primavera del 1999, quando furono rilevate alte quantità di diossina e di suoi derivati nelle uova e nella carne di pollo. Il conseguente immediato ritiro di uova e pollame dai supermercati e dai negozi alimentari di tutto il Belgio coincise con una diminuzione del 40% dei casi di campilobacteriosi nell’uomo. I livelli dell’infezione ripresero poi a salire quando il divieto sul consumo di pollame e derivati fu ritirato.
  • Il pollo non rappresenta l’unico potenziale veicolo animale per il Campylobacter: anche se in misura minore, sono coinvolti anche maiale, manzo, pecora, molluschi (pescati in acque contaminate). Gli animali da compagnia (cani, gatti, volatili) possono rappresentare un potenziale rischio di trasmissione, soprattutto per i bambini, qualora manifestino sintomi gastrointestinali di origine non identificata.

 

A cura della Dr.ssa Sonja Bellomi, laurea in CTF, PhD

 

Fonti e bibliografia

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Importante

Revisione a cura del Dott. Roberto Gindro (fonti principali utilizzate per le analisi http://labtestsonline.org/ e Manual Of Laboratory And Diagnostic Tests, Ed. McGraw-Hill).

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