Introduzione
Il Clostridium difficile (C. difficile) è un batterio Gram-positivo capace di vivere in ambienti poveri di ossigeno e in grado di formare spore. Trova ampia diffusione in natura, in particolare nell’ambiente ospedaliero e in case di cura. Nell’uomo il Clostridium difficile può far parte, in una piccola percentuale di casi, della flora intestinale normale dell’adulto, senza causare sintomi.
Fu isolato per la prima volta nel 1935 dalle feci di neonati asintomatici e venne originariamente chiamato Bacillus difficilis a causa della sua morfologia e delle difficoltà incontrate nel suo isolamento.
Causa un ventaglio di quadri clinici e sintomi che possono includere:
- diarrea lieve e auto-limitante oppure grave,
- colite senza pseudomembrane,
- colite pseudomembranosa,
- colite fulminante, estremamente pericolosa per la vita.
Il sintomo cardine di tutte queste forme è la diarrea, che può essere accompagnata a seconda dei casi, da
L’infezione da Clostridium difficile è una malattia che viene contratta il più delle volte in associazione ad un uso aggressivo di antibiotici, farmaci responsabili di un’alterazione della normale flora intestinale. Il nostro intestino è infatti colonizzato da vari microrganismi, in numero variabile e compreso tra 500 e 10.000.000 differenti specie. Per la maggior parte si tratta di batteri inoffensivi e spesso anche utili al nostro organismo (ad esempio per la digestione o per il sistema immunitario), ma quando qualcosa sconvolge il delicato equilibrio di questo ecosistema possono sovrapporsi infezioni di altri microrganismi patogeni, come il Clostridium difficile.
L’infezione viene contratta principalmente dai pazienti ricoverati in ospedale (80%), mentre solo un paziente su cinque lo acquisisce al di fuori dell’ambiente ospedaliero.
Le infezioni da C. difficile di solito rispondono bene al trattamento, con la maggior parte dei pazienti che recuperano completamente nell’arco di 1-2 settimane; in circa il 20% dei casi si manifestano tuttavia recidive che richiedono la ripetizione del trattamento.
Cause
Il principale fattore di rischio dell’infezione da Clostridium difficile è il massiccio utilizzo di antibiotici, in particolar modo in soggetti ricoverati in ambito ospedaliero. Il rischio di sviluppare l’infezione dopo la somministrazione degli antibiotici è altamente variabile e dipende da fattori dell’ospite come
- età (oltre i 65 anni),
- dieta,
- funzione del sistema immunitario.
Altri fattori di rischio sono relativi al tipo e dose di farmaco prescritto, nonché la durata del trattamento.
Tra gli altri fattori ricordiamo:
- chirurgia recente, soprattutto trapianti e procedure gastrointestinali,
- utilizzo di inibitori di pompa protonica (farmaci per lo stomaco, che ne riducono l’acidità),
- indebolimento del sistema immunitario, per esempio a causa dell’uso di immunosoppressori,
- malattie infiammatorie intestinali (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa),
- prolungata degenza in ospedale (più di 15 giorni),
- alimentazione con sondino naso-gastrico.
Contagio
La trasmissione della malattia avviene tipicamente per via oro-fecale.
Il paziente infetto da Clostridium difficile nel tratto gastrointestinale è in grado si espellerlo insieme alle feci che, soprattutto in ambiente ospedaliero, sono in grado di andare a contaminare in vario modo l’ambiente.
All’esterno dell’intestino il Clostridium difficile è in grado di sopravvivere fino ad alcune settimane grazie alla sua capacità di creare spore, forme cellulari specializzate per la sopravvivenza in condizioni ambientali avverse per il microrganismo.
La trasmissione avviene portandosi alla bocca le mani contaminate dalle spore del Clostridium difficile, che possono aver infestato varie superfici come comodini, rubinetti, scarichi dei bagni, termometri e abbigliamento non adeguatamente pulito. Il microrganismo, una volta ingerito, dalla bocca raggiungerà l’intestino, dove sarà in grado di crescere e proliferare, in particolar modo se trova una flora batterica alterata dal massiccio utilizzo di antibiotici.
Un paziente con infezione da C. difficile è generalmente considerato contagioso fino ad almeno 48 ore dopo la completa scomparsa dei sintomi.
Quando le spore di Clostridium difficile arrivano nell’intestino sono in grado di crescere, replicarsi e produrre due potenti tossine; questo succede solo raramente nei soggetti sani, ma avviene più frequentemente in pazienti con una flora intestinale alterata o con altri fattori di rischio sottostanti. Le tossine prodotte dal Clostridium difficile sono chiamate
- Tossina A,
- Tossina B.
La Tossina A è una enterotossina in grado di causare secrezione di fluidi, infiammazione e necrosi tissutale.
La tossina B è invece una citotossina in grado di provocare direttamente la morte delle cellule intestinali con cui viene in contatto. Alcuni ceppi di Clostridium difficile (NAP1/BI/027) producono una ulteriore tossina, detta tossina binaria, in grado di causare forme più gravi di colite pseudomembranosa.
Sintomi
I portatori asintomatici di Clostridium difficile variano dal 2% al 30% a seconda che siano o meno ricoverati e che presentino o meno fattori di rischio sottostanti. Sebbene asintomatici, questi individui fungono da riserva per la contaminazione ambientale.
Il periodo di incubazione tra l’ingestione di spore e l’insorgere della malattia non è stato determinato, tuttavia la maggior parte dei pazienti sviluppa diarrea durante o subito dopo l’assunzione di antibiotici, che ricordiamo essere il principale fattore di rischio per l’infezione da Clostridium difficile.
Il Clostridium difficile causa un’ampia gamma di sintomi, che comprendono:
- diarrea, da lieve e auto-limitante a molto grave,
- colite senza pseudomembrane,
- colite pseudomembranosa,
- colite fulminante, condizione estremamente pericolosa per la vita.
La diarrea è senza dubbio il sintomo cardine dell’infezione da Clostridium difficile
Colite con o senza pseudomembrane
Le manifestazioni cliniche della colite con o senza la presenza di pseudomembrane sono pressoché sovrapponibili, a distinguerle è essenzialmente l’entità della sintomatologia. Un’ulteriore differenza tra le due forme cliniche è la presenza di pseudomembrane, ossia uno strato aderente di cellule infiammatorie e detriti sulla mucosa intestinale danneggiata.
La clinica di queste forme presenta
- diarrea acquosa, fino a 10-15 scariche al giorno,
- crampi e dolori addominali,
- febbre,
- mancanza di appetito,
- nausea,
- muco nelle feci,
- sangue nelle feci (raramente),
- malessere generalizzato,
- bocca secca per disidratazione.
Colite fulminante
Un piccolo numero di pazienti infetti da Clostridium difficile, circa il 3%, sviluppano una forma più grave chiamata colite fulminante, il cui corso è complicato da
- perforazione intestinale,
- ileo paralitico (occlusione intestinale),
- megacolon tossico,
- grave ipotensione (abbassamento della pressione),
- setticemia (infezione diffusa),
In questi casi la diarrea può o meno essere presente, per l’eventuale presenza del megacolon tossico e dell’ileo paralitico.
Diagnosi
La diagnosi si basa su
- storia del paziente,
- presenza dei sintomi di infezione da Clostridium difficile,
- esame delle feci,
- eventualmente anche da alcuni esami del sangue (i leucociti risultano per esempio tipicamente elevati in corso d’infezione, così come potrebbero essere presenti squilibri elettrolitici e ipoalbuminemia).
In alcuni casi dubbi può essere richiesta l’endoscopia per valutare l’eventuale presenza di pseudomembrane.
L’infezione da Clostridium difficile dovrebbe essere sospettata in qualsiasi paziente ospedalizzato che sviluppi diarrea e, più in generale, in qualsiasi persona nella comunità che sviluppa diarrea dopo un ciclo di antibiotici o dopo aver effettuato una terapia immunosoppressiva.
Si rendono tuttavia necessari degli esami di laboratorio di conferma. L’esame più importante è l’analisi delle feci, dove vengono ricercate le tossine prodotte dal Clostridium difficile. È possibile riconoscere sia la tossina A che la tossina B, ma va ricordato che non sussiste correlazione tra la quantità di queste tossine nelle feci e la gravità del quadro clinico.
L’esame colturale delle feci per la ricerca del Clostridium difficile è meno utile e necessita di alcuni giorni per il risultato, per questi motivi non sempre viene richiesto.
Negli esami del sangue è possibile ricercare la presenza di anticorpi specifici anti-Clostridium difficile, metodica utile a fini statistici più che diagnostici.
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Terapia
Il primo provvedimento nel trattamento della diarrea e/o della colite in caso di infezione da Clostridium difficile è di interrompere, quando possibile, la terapia antibiotica che sta assumendo il paziente.
Se il quadro clinico è di lieve entità non sarà necessario nessun altro trattamento, in quanto l’infezione sarà in grado di risolversi spontaneamente con la ricostituzione della normale flora batterica.
Se invece le manifestazioni cliniche fossero gravi e persistenti sarà necessario instaurare una adeguata terapia medica; i farmaci più attivi sono il metronidazolo e la vancomicina, somministrabili per bocca.
Ci si aspetta un miglioramento dei sintomi già dopo 72 ore dall’inizio della terapia e diarrea e colite si risolvono completamente in più del 95% dei pazienti dopo 10 giorni di terapia.
In un 20-30% dei casi può succedere che la diarrea si ripresenti in seguito alla sospensione del trattamento, situazione che richiede la ripetizione del ciclo di cura con metronidazolo o vancomicina.
Trapianto fecale
Un approccio relativamente recente è costituito dal cosiddetto trapianto fecale, pratica ospedaliera che consiste nel trasferimento di un campione di feci da un donatore al soggetto infetto, al fine di favorire la colonizzazione intestinale da parte di batteri buoni.
Per quanto possa essere una procedura in grado d’indurre un certo scetticismo, quando non addirittura repulsione, nella pratica si è rivelata un’opzione di grande efficacia nel risolvere infezioni croniche da Clostridium Difficile; in genere il donatore viene scelto in una ristretta rosa di parenti del paziente e le feci raccolte vanno preventivamente incontro ad esami e trattamenti volti a garantire la massima efficacia e l’assenza di altri germi patogeni.
La somministrazione avviene in genere attraverso un sondino nasogastrico (un tubicino inserito a livello nasale e guidato fin nello stomaco) o meno comunemente attraverso colonscopia e/o somministrazione di clisteri.
Prevenzione
La prevenzione prevede la messa in atto delle seguenti condizioni:
- isolamento in caso di sospetto di diagnosi di Clostridium difficile in pazienti ricoverati,
- uso di guanti usa e getta quando si entra a contatto con i pazienti infetti da Clostridium difficile,
- uso di disinfettanti a base di cloro per pulire le superfici o gli oggetti che potrebbero essere entrati in contatto con un paziente infetto,
- lavaggio delle mani da parte di tutto il personale ospedaliero,
- adeguata prescrizione antibiotica, evitandone l’uso inappropriato.
Fonti e bibliografia
- Rugarli C., Medicina interna sistematica 2000
- Harrison, Principi di medicina interna, 18ª ed., Milano, CEA Casa Editrice Ambrosiana, 2012
- Khan, F. Y.
A cura del Dr. Alberto Carturan, medico chirurgo