Introduzione
La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è una malattia rara che rappresenta la più grave tra le diverse forme di distrofia muscolare; si tratta di una patologia neuromuscolare genetica a trasmissione recessiva legata al cromosoma X, che colpisce quindi sostanzialmente solo gli individui di sesso maschile. Le donne, salvo rare eccezioni, sono asintomatiche e per questo definite portatrici sane, in quanto capaci di cedere il cromosoma malato al figlio.
L’incidenza è di 1 maschio ogni 5000 nati vivi; secondo le stime in Italia si contano circa 2000 pazienti affetti da questa patologia e nel mondo circa 300000.
La patologia è caratterizzata da una progressiva degenerazione dei muscoli scheletrici, lisci e cardiaci con conseguente sviluppo di debolezza muscolare diffusa e progressiva. L’età di comparsa è attorno ai tre anni con difficoltà motorie progressive che culminano con la perdita dell’autonomia.
Ad oggi non esiste una cura per questa malattia e, nonostante il trattamento, purtroppo l’aspettativa di vita non supera i 30 anni per le complicanze cardiorespiratorie che rappresentano la prima causa di morte in questi soggetti. Il trattamento tradizionale si basa sull’uso di farmaci corticosteroidei; sono in corso numerosi trial clinici volti a vagliare differenti possibili terapie, ma i risultati sono ancora purtroppo poco promettenti.
Causa
La distrofia muscolare di Duchenne è stata identificata la prima volta nel 1868 dal neurologo da cui prende il nome e la causa è da attribuirsi ad una mutazione del gene della distrofina, collocato sul cromosoma X. La mutazione è responsabile di una completa assenza di produzione di tale proteina.
Le principali mutazioni riscontrate nel gene della distrofina sono:
- 65% ampie delezioni
- 24% piccole mutazioni puntiformi
- 10% duplicazioni
- 1% mutazioni atipiche
La distrofina è una proteina che ha un ruolo dirimente nella stabilità meccanica della membrana cellulare durante la contrazione muscolare, la sua assenza crea come dei fori che rendono la struttura instabile e soprattutto ne alterano la normale permeabilità; attraverso questi fori si assiste all’entrata di sostanze indesiderate, come il calcio, e la fuoriuscita di altre molecole indispensabili alla funzione muscolare. L’inevitabile conseguenza è una rapida morte della cellula (necrosi) e, poiché le sostanze espulse vengono riconosciute dal sistema immunitario come corpi estranei, si genera un’ulteriore forma di distruzione perpetrata dalle cellule del sistema immunitario dell’individuo stesso.
Le porzioni distrutte di tessute vengono ad essere riparate e sostituite da tessuto connettivo di tipo cicatriziale, incapace di garantire la normale funzionalità del muscolo.
Questo processo si verifica senza soluzione di continuità, progressivo ed inesorabile, fino a che tutte le cellule muscolari non siano distrutte e sostituite da tessuto fibrotico e adiposo.
Distrofia muscolare di Duchenne e distrofia muscolare di Becker
Le due patologie si distinguono sulla base del deficit di distrofina, che è
- assoluto nella distrofia di Duchenne (assenza totale della proteina)
- parziale nella distrofia di Becker (c’è una produzione anomala o insufficiente di distrofina).
La forma di Becker si manifesta quindi con esordio tardivo, in modo più lieve e con un decorso meno certo; purtroppo è nettamente meno frequente di quella di Duchenne (circa 4 volte meno, approssimativamente 1 caso su 18 mila a fronte di 1 ogni 5 mila della Duchenne).
Trasmissione
In due pazienti su tre si tratta di forme genetiche ereditarie, in cui il bambino riceve i geni danneggiati dai genitori; nei restanti casi la madre è sana (non portatrice) e la malattia dovuta quindi a mutazioni de novo del gene per la distrofina, si tratta cioè di un errore casuale, non trasmesso dai genitori, e per questo del tutto imprevedibile.
La patologia è definita a trasmissione ereditaria recessiva ed il gene responsabile si trova sul cromosoma X, uno dei due cromosomi sessuali.
Una patologia è definita recessiva quando per la sua manifestazione (fenotipo) è necessario che siano mutati entrambe le copie (alleli) del gene responsabile e questa è la ragione per cui la malattia si presenta in forma differenziata nei due sessi:
- Donne: posseggono 2 cromosomi sessuali di tipo XX, se anche ereditassero un cromosoma X su cui è presente la mutazione l’altro cromosoma X compenserebbe le mancanze di quello mutato. Per questa ragione esse sono definite portatrici sane: sono portatrici di un gene che se trasmesso al figlio causerà la patologia pur non sviluppando esse stesse alcuna malattia.
- Uomini: posseggono 2 cromosomi sessuali di tipo XY; avendo un un solo cromosoma X ricevuto dalla madre (quello Y deriva dal padre) nel caso in cui sia danneggiato si osserva la manifestazione della malattia.
Se la madre è portatrice sana c’è il 50% di probabilità che venga passato il cromosoma con la mutazione.
Le possibili combinazioni sono:
- Uomo sano e donna portatrice:
- Figlio maschio ha il 50% di possibilità di nascere con la malattia (se cioè riceve il gene con a mutazione dalla madre.)
- Figlia femmina ha il 50% di possibilità di essere portatrice sana della patologia, in quanto dal padre riceve un cromosoma X sano, mente dalla madre ha il 50% di possibilità di ricevere quello danneggiato-
- Uomo malato e donna portatrice (situazione più rara, in quanto statisticamente poco comune che un paziente affetto diventi padre):
- Figlio maschio ha il 50% di possibilità di nascere con la malattia, ricevendo dal padre il cromosoma Y, mentre dalla madre può ricevere l’X sano o l’X con mutazione del gene con la stessa probabilità.
- Figlia femmina, riceve sempre l’X mutato dal padre poi può ricevere o meno l’X mutato dalla madre
- 50% di probabilità che nasca portatrice sana (riceve dalla madre l’X sano)
- 50% di probabilità che nasca malata: riceve da entrambi i genitori l’X con mutazione pertanto manifesterà la patologia come avviene nel sesso maschile. L’incidenza è 1 ogni 50 000 (evento molto raro).
Grazie alla consulenza genetica è possibile quantificare il rischio di trasmettere il gene ai propri figli. Se in famiglia sono presenti altri casi di distrofia è raccomandabile ricorrere alla consulenza genetica e alla diagnosi prenatale, che può essere effettuata dalla decima settimana di gravidanza tramite villocentesi o, più avanti, con amniocentesi.
Sintomi
I sintomi iniziano a manifestarsi verso i 3 anni d’età, con il bambino che mostra difficoltà a camminare e a muoversi; in genere si osserva come tenda a camminare sulle punte dei piedi con passo incerto, con un’andatura definita “andatura anserina”.
Particolarmente caratteristico è il segno di Gowers: il bambino nell’alzarsi da terra flette il tronco in avanti facendo forza con le mani poggiate sulle ginocchia per compensare la mancanza di forza degli arti inferiori.
Col passare del tempo le difficoltà motorie si rendono sempre più manifeste, l’equilibrio diventa progressivamente più precario e sono frequenti le cadute con possibili fratture.
Questo quadro dura fino a circa ai 14 anni di età, quando la capacità di moto viene persa e si rende necessario il ricorso alla sedia a rotelle, che purtroppo richiede un maggior impegno degli arti superiori di cui verrà accelerata la degenerazione; per questa ragione è consigliabile, quando possibile, che la scelta verta su carrozzine elettriche che salvaguardino la muscolatura delle braccia (che viene tuttavia persa entro i 20 anni).
Oltre a quelli degli arti vengono colpiti anche tutti gli altri muscoli del corpo e di particolare interesse sono i muscoli respiratori (muscoli intercostali e diaframma) e il cuore, che si indeboliscono progressivamente più fino a causare la morte del paziente.
Le principali cause di morte sono rappresentate da cardiomiopatia ed insufficienza respiratoria. Circa un terzo dei pazienti sviluppa prima dei 14 anni anomalie di conduzione cardiaca, aritmie e cardiomiopatia dilatativa, che a 18 anni sono diagnosticati in tutti i pazienti. Malgrado ciò spesso il coinvolgimento cardiaco rimane asintomatico in quanto ragazzi già immobilizzati, impossibilitati a compiere sforzi fisici.
Diagnosi
Il sospetto diagnostico sorge in età pediatrica, notando come il bambino abbia difficoltà di movimento e rilevando per esempio la positività al segno di Gowers prima descritto.
Per la diagnosi di certezza occorre:
- Biopsia muscolare: si preleva un pezzetto di muscolo, in genere si usa il quadricipite (coscia), per verificare la presenza di fibre muscolari degenerate e la completa assenza di distrofina. Questa metodica permette di effettuare subito diagnosi differenziale tra distrofia muscolare di Duchenne e distrofia muscolare di Becker.
- Diagnosi molecolare: a differenza della metodica precedente non è di tipo invasivo, si effettua tramite un semplice prelievo sanguigno e permette di stabilire con certezza le mutazioni presenti nel gene per la distrofina.
Se in passato si ricorreva principalmente alla biopsia muscolare ad oggi, anche grazie al progresso tecnologico e strumentale, si preferisce l’analisi molecolare, permettendo una riduzione dello stress psico-fisico per il paziente e la famiglia.
Un esame di laboratorio utile è la titolazione della creatinchinasi sierica, che risulta essere 100-200 volte maggiore del valore di riferimento. Un aumento della creatinchinasi sierica è indubitabilmente segno di danno muscolare, sebbene non sia un test specifico; non è quindi sufficiente a formulare una diagnosi di distrofia Duchenne, perché in grado di aumentare in qualsiasi condizione che implichi una sofferenza muscolare, come ad esempio affaticamento muscolare per attività intense, epatiti, patologie endocrine, malattie infettive, … Quando contestualizzato in un quadro di distrofia di Duchenne è tuttavia un parametro che si può tenere in considerazione anche per valutare l’andamento della malattia.
Trattamento
Ad oggi non esiste purtroppo alcuna cura per la distrofia muscolare di Duchenne che sia in grado di bloccare la degenerazione muscolare. Il trattamento è quindi solo palliativo mediante:
- Terapia corticosteroidea: riduce l’infiammazione e le reazioni immunitarie responsabili della progressione della malattia. I migliori risultati si hanno quando la si inizia precocemente, pur dovendo considerare tutti gli effetti negativi di un trattamento corticosteroideo cronico effettuato in età pediatrica (solo alcuni esempi sono osteoporosi, riduzione della crescita, obesità, alterazioni comportamental, …)
- Ace inibitori: occorre attuare un continuo monitoraggio cardiaco affinché possa essere iniziato tempestivamente il trattamento con questi farmaci una volta che la funzionalità cardiaca inizia a compromettersi
- BIPAP: è una forma di ventilazione a supporto meccanico non invasivo. Anche questo trattamento si rende indispensabile quando inizia a manifestarsi l’insufficienza respiratoria restrittiva
- Fisioterapia con stretching passivo
- Uso di tutori piede caviglia per ridurre le contratture del tendine di Achille
Sono in corso numerose sperimentazioni e trial clinici che stanno vagliando differenti vie, tra cui:
- Terapia genica: l’obiettivo è cercare di correggere l’errore alla base, introducendo nell’organismo tramite un vettore virale frammenti di DNA contenenti geni sani. Il problema sostanziale riguarda le dimensioni del gene della distrofina, che è il più grande del DNA umano ed i vettori virali usati per veicolare l’informazione genetica hanno purtroppo capienza limitata. Si è cercato di ovviare a ciò utilizzando una forma di dimensioni ridotte del gene della distrofina, abbastanza piccola da poter essere efficacemente veicolata dal vettore direttamente nel tessuto muscolare. Gli studi su tale approccio sono ancora in corso.
- Terapia cellulare: in questo caso l’obiettivo è ripristinare la produzione di distrofina andando a fornire all’organismo cellule staminali che colonizzino il muscolo con cellule muscolari sane capaci di produrre distrofina. Ci sono stati vari studi a partire dal 2011 ma i risultati non sono ad oggi stati soddisfacenti.
- Editing genomico: l’obiettivo è correggere tramite ingegneria genetica le mutazioni presenti sul DNA. La sperimentazione è ancora nella fase preclinica con studi condotti su modelli animali. Non è stato ancora effettuato nessuno studio sull’uomo.
- Exon skipping: in italiano si traduce con salto dell’esone, utilizzando piccole molecole antisenso si ristabilisce una corretta lettura della molecola andando ad eliminare un esone corrispondente alla regione in cui è presente la mutazione. Si ottiene in tal modo una proteina di distrofina che non è come la distrofina normale, bensì un po’ più piccola e meno efficiente, ma con funzione muscolare conservata. Non è considerabile come un intervento curativo, che guarisca la malattia, quanto più un tentativo di ridurne l’impatto sul paziente. In USA l’FDA ha approvato l’eteplirsen per il trattamento di pazienti selezionati. In Europa invece non è stata approvata in quanto lo studio clinico che ne ha determinato l’approvazione in USA è stato condotto su un numero ritenuto troppo esiguo di candidati, oltre alla presenza di numerose criticità.
In Europa l’unico farmaco approvato, che sfrutta un meccanismo simile, è l’Ataluren che agisce esclusivamente sulle forme di Duchenne causate da mutazioni non senso (presenti nel 10% dei malati). Queste mutazioni causano un’interruzione anticipata nella lettura del gene quindi una mancata produzione di distrofina funzionale. - Terapia farmacologica alternativa ad i corticosteroidi: sarebbe di grande importanza riuscire a trovare molecole capaci di contrastare i processi degenerativi, infiammatori e fibrotici caratterizzanti la distrofia muscolare di Duchenne. Ad oggi gli unici farmaci utilizzati a tal scopo sono i corticosteroidi che però si portano dietro un’enormità di effetti collaterali dovuti ad un loro uso cronico.
A cura del dr Mirko Fortuna, medico chirurgo
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