Linfoma di Hodgkin: sintomi, sopravvivenza, cause e cura

Introduzione

Un tumore è l’espressione tangibile di cellule che crescono in modo incontrollato, senza più attenersi agli specifici segnali dell’organismo.

Un tumore può nascere da qualsiasi cellula e, eventualmente, diffondersi nel resto del corpo; un linfoma è un tumore che nasce a partire da un globulo bianco, ossia una cellula del sangue deputata alla difesa dell’organismo, e in particolare da uno specifico sottotipo che prende il nome di linfocita. Distinguiamo due tipi di linfoma

  • linfoma di Hodgkin, oggetto del presente articolo e caratterizzato dalla presenza delle cosiddette cellule di Reed-Stenberg,
  • linfoma non Hodgkin (80% dei linfomi),

a loro volta suddivisibili ulteriormente in base a specifiche caratteristiche.

Le due forme si comportano, si diffondono e rispondono al trattamento in modo diverso, per questo è così importante distinguerli.

Il linfoma di Hodgkin è poco comune ed il sintomo più caratteristico è rappresentato dal gonfiore di un linfonodo, tipicamente a livello di ascella, collo o inguine, ma senza la presenza di dolore.

Si tratta di un tumore spesso aggressivo, in grado di diffondersi velocemente nell’organismo, ma nonostante questo è spesso associato ad una buona prognosi grazie ad una buona risposta ai trattamenti disponibili (chemioterapia, eventualmente seguita dalla radioterapia); la sopravvivenza è elevata e pari a circa l’85% dei pazienti colpiti a 5 anni dalla diagnosi.

Cause

Rappresentazione schematica del sistema linfatico

Il sistema linfatico (verde) è una rete parallela al sistema circolatorio (arterie in rosso e vene in blu). (iStock.com/7activestudio)

Il linfoma di Hodgkin è un tumore che interessa i tessuti linfoidi dell’organismo, strutture  deputate alla difesa da infezioni e malattie e costituito da

  • vasi linfatici, in cui circola la linfa (costituita principalmente da linfociti B e T),
  • linfonodi,
  • altri organi quali
    • milza,
    • tonsille,
    • timo
    • ed alcune aree di stomaco, intestino tenue e cute.

Il linfoma di Hodgkin origina da linfociti del sangue che abbiano subito un processo di trasformazione, acquisendo la capacità di dividersi e replicarsi in modo anomalo e producendo così cellule che non seguono più il normale ciclo vitale ma che, al contrario, tendono a raggrupparsi formando una massa tumorale.

Questa massa tumorale può svilupparsi praticamente ovunque (essendo il tessuto linfoide presente quasi dappertutto nel nostro corpo); il linfoma di Hodgkin si differenzia quindi dalla leucemia che si manifesta come malattia disseminata nel sangue e nel midollo osseo, e non come massa localizzata e definita.

Se l’origine è tipicamente in un unico linfonodo, il tumore in seguito si diffonde per via linfatica agli altri linfonodi, secondo uno schema preciso e prevedibile (partendo dai linfonodi più vicini alla sede in cui il tumore si è sviluppato e coinvolgendo via via i linfonodi più lontani, oltre eventualmente anche a organi più distanti, attraverso il sangue.

Fattori di rischio

Il linfoma di Hodgkin non è un tumore comune: benché rappresenti circa il 20-25% di tutti i linfomi, costituisce lo 0.5% di tutti i tumori maligni dell’uomo.

Sono stati individuati alcuni fattori di rischio che aumentano la possibilità di ammalarsi di questo tipo di tumore:

  • familiarità, cioè parenti stretti affetti dallo stesso tumore,
  • infezione da virus di Epstein-Barr (EBV, il virus causa della mononucleosi),
  • sesso maschile (tranne una variante specifica,il tipo sclerosi nodulare, che interessa maggiormente le donne),
  • età (15-30 anni ed oltre i 50 anni),
  • elevato tenore di vita.

La presenza di uno o più membri della stessa famiglia affetti da linfoma di Hodgkin induce ad ipotizzare un ruolo non trascurabile svolto dalla predisposizione genetica nell’insorgenza di questo tumore.

Il virus EBV è rilevabile in circa il 20% dei pazienti colpiti e, più in generale, si rileva un maggior rischio di sviluppare il linfoma in presenza di tutte quelle condizioni che causano un cattivo funzionamento del sistema immunitario come infezione da HIV e AIDS conclamato, malattie autoimmuni, terapie con farmaci antirigetto dopo trapianto, …

Classificazione

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato il linfoma di Hodgkin in 2 varianti distinte:

  • Linfoma di Hodgkin nodulare a predominanza linfocitaria (5% dei casi),
  • Linfoma di Hodgkin classico (95% dei casi), a sua volta comprendente 4 sottotipi:
    • sclerosi nodulare (60%),
    • cellularità mista (15-30%),
    • ricco in linfociti (5-10%),
    • deplezione linfocitaria (1%).

Queste varianti differiscono per:

  • sede d’insorgenza del tumore,
  • caratteristiche cliniche (segni e sintomi),
  • composizione cellulare ed immunoistochimica,
  • presenza o meno di fibrosi,
  • presenza o meno di possibile relazione con il virus di EBV,
  • risposta alle terapie e prognosi.

Le varianti nodulare a predominanza linfocitaria e quella ricca in linfociti sono associate ad una migliore risposta clinica alle terapie e da bassa aggressività.

Il sottotipo a deplezione linfocitaria è invece la forma più comune nei soggetti HIV-positivi e nei Paesi in via di sviluppo; spesso al momento della diagnosi la malattia è già disseminata e ha coinvolto vari organi, quali

  • milza,
  • fegato
  • e midollo osseo.

Il sottotipo sclerosi nodulare è frequente tra gli adolescenti e i giovani adulti e si localizza prevalentemente al petto, mentre nella forma a cellularità mista sono maggiormente coinvolti i linfonodi addominali e la milza.

Sintomi

I sintomi iniziali del linfoma di Hodgkin prevedono solitamente la comparsa di una linfoadenopatia superficiale: nel 60% dei casi si rileva cioè un ingrossamento improvviso di uno o più linfonodi del collo, mentre è più raro il coinvolgimento dei linfonodi localizzati all’inguine o in altre sedi. Generalmente i linfonodi non sono dolenti o procurano solo un fastidio lieve e passeggero (in genere in concomitanza con l’assunzione di alcool).

Nel 40% dei pazienti si riscontano inoltre:

Quando il tumore si localizza nel petto (sede più frequente nei giovani) può tuttavia provocare

  • dolore,
  • difficoltà respiratorie e/o tosse persistente,

mentre, negli anziani più spesso il dolore si manifesta a causa della compressione che il linfoma esercita contro gli organi dell’addome o basso ventre, o per la vasodilatazione provocata dalla liberazione di istamina.

In presenza di questi sintomi, soprattutto se perdurano già da qualche settimana, è necessario ovviamente rivolgersi al medico per un controllo. Si noti tuttavia che molte altre condizioni cliniche  possono manifestarsi con sintomi simili, per cui è bene distinguere il linfoma di Hodgkin da:

Sopravvivenza

Il linfoma di Hodgkin è un tumore relativamente raro, che rappresenta circa lo 0,5% di tutti i casi di tumore diagnosticati secondo i dati AIRC. L’incidenza è in leggero aumento, ma anche la sopravvivenza è un aumento (86.6% a cinque anni dalla diagnosi secondo statistiche americane).

Diagnosi

Il medico può sospettare la presenza di un linfoma di Hodgkin in presenza di un giovane adulto che riferisca la comparsa di una linfoadenopatia del collo che non procura dolore e che è insorta improvvisamente, aumentando repentinamente di volume. In altri pazienti la linfoadenopatia è localizzata all’inguine, sotto l’ascella o in sedi interne del corpo, non visibili, come il petto, la pancia o la pelvi ed il paziente accusa senso di costrizione o dolore.

La visita medica comprende essenzialmente 2 momenti:

  • raccolta dell’anamnesi,
  • ispezione e palpazione della linfoadenopatia sospetta, ed esame obiettivo generale.

Le domande che con maggiore frequenza vengono poste al paziente sono:

  • Quando ha notato l’ingrossamento dei linfonodi? Sono dolenti?
  • Ha febbre?
  • Si sveglia la notte sudato?
  • Ha notato negli ultimi 6 mesi una perdita importante del suo peso corporeo, superiore a 10 Kg?
  • Ha prurito in tutto il corpo?
  • Si sente più stanco?
  • Ha dolore?

L’esame obiettivo consente di:

  • Descrivere numero, dimensioni, sede, consistenza e mobilità di tutte le tumefazioni di verosimile natura linfonodale riscontrate.
  • Esplorare tutte le regioni sede di linfonodi: occipite, cervicale, sopra e sotto le clavicole, ascelle, gomiti, inguine e cavi poplitei.
  • Valutare il torace , il fegato, la milza e l’addome (alla ricerca di ingrossamenti o masse palpabili sospette, o possibili versamenti).
  • Ricercare edemi delle gambe.

Un paziente con linfonodo/i sospetto/i, dev’essere sottoposto ad una biopsia linfonodale, una procedura chirurgica che consiste nel prelievo di una quantità di tessuto linfonodale sufficiente (in genere un linfonodo intero) da inviare al medico anatomopatologo per una valutazione istologica.

L’anatomopatologo lavora osservando al microscopio i vetrini di tessuto prelevato, con lo scopo di ricercare possibili segni che possano confermare il sospetto diagnostico di tumore; al microscopio il linfoma di Hodgkin è caratterizzato dalla presenza di linfociti atipici, chiamati cellule di Reed Sternberg (dal nome dei 2 medici che per primi le osservarono) e identificate per la presenza sulla loro superficie di due componenti, gli antigeni CD-15 e CD-30.

Il linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulare non presenta al microscopio molte cellule di Reed Sternberg ma, soprattutto una loro variante chiamata cellula popcorn per il suo aspetto simile a quello dei popcorn.

Stadiazione

Una volta confermata la diagnosi di linfoma di Hodgkin è necessario procedere alla stadiazione,  bisogna cioè stabilire dove e quanto sia estesa la malattia tumorale nonché i possibili fattori di rischio sfavorevoli, al fine di poter programmare le cure più adeguate e formulare eventualmente una prognosi (cioè come evolverà il tumore nel tempo).

Per la stadiazione, oltre ad un’accurata visita medica, sono richiesti esami del sangue comprendenti:

I pazienti con linfoma di Hodgkin presentano frequentemente

Alcune indagini strumentali rivestono un ruolo di grande utilità, perché consentono di valutare l’estensione del tumore ed un suo eventuale coinvolgimento a più sedi linfonodali (polmoni, milza, fegato o altre parti del corpo); ricordiamo per esempio:

La biopsia osteomidollare con ago Jamshidi sulla spina iliaca postero-superiore in anestesia locale, si effettua solo nei pazienti ritenuti più a rischio di invasione del tumore al midollo osseo (in genere un 5% dei casi).

Queste indagini consentono di classificare il tumore in 4 stadi (con differente diffusione del tumore).

La classificazione in stadi si basa sui criteri di Ann Arbor, integrati dai più recenti criteri di Cotswolds :

  • Stadio I: se è coinvolto un solo linfonodo od un singolo organo extralinfatico.
  • Stadio II: se sono coinvolti 2 o più linfonodi dello stesso lato del diaframma, accompagnati o meno dall’interessamento di un organo extralinfatico.
  • Stadio III: se sono coinvolti più linfonodi in entrambi i lati del diaframma, con o senza coinvolgimento di organi extralinfatici.
  • Stadio IV: diffuso coinvolgimento di uno o più organi extralinfatici.

Il diaframma è un muscolo della respirazione, che separa la cavità toracica dalla cavità addominale; gli organi extralinfatici più frequentemente coinvolti dal linfoma sono polmone, ossa e fegato mentre più raramente il tumore si localizza alla cute, visceri interni e cervello.

Accanto allo stadio di malattia (indicato dai numeri romani I-IV), viene posta una lettera A o B, a seconda della assenza o presenza di sintomi sistemici, cioè:

  • perdita di peso superiore al 10% del peso abituale negli ultimi 6 mesi,
  • febbre ricorrente superiore a 38 ºC,
  • sudorazioni notturne inspiegabili.

Potrebbe infine leggersi nella descrizione della stadiazione, il termine bulky (indicato con la lettera X), con cui si indica la presenza di una massa tumorale delle dimensioni pari o superiori a 10 cm o una massa al petto superiore a un terzo del diametro trasverso del torace (misurato a livello dei dischi intervertebrali D5-D6 alla radiografia standard).

Cura

Il linfoma di Hodgkin è associato ad una buona prognosi, perché è di fatto curabile nella maggioranza dei casi (circa l’85% dei pazienti), indipendentemente dallo stadio di malattia.

La terapia richiede la collaborazione di due medici specialisti:

  • oncologo/ematologo,
  • radioterapista.

La cura dipende invece dal momento della diagnosi:

  • Se la malattia è stata scoperta in uno stadio iniziale (stadio I-II) la terapia prevede 3-4 cicli di chemioterapia, seguiti dalla radioterapia.
  • Se la malattia è già in fase avanzata al momento della diagnosi (stadio III-IV) il trattamento è solo chemioterapico per 6-8 cicli. La radioterapia va aggiunta nei casi in cui la chemioterapia non ha distrutto del tutto il tumore e con la PET di controllo è visibile ancora massa tumorale superiore ai 2,5 cm.

Si ricorre in genere a polichemioterapie, che prevedono l’uso di più farmaci somministrati endovena o in alcuni casi in compresse, per aumentarne l’efficacia.

I farmaci chemioterapici maggiormente utilizzati sono quelli dello schema ABVD, che ha quasi del tutto sostituito il vecchio protocollo MOPP gravato da tossicità severe a lungo termine, quali infertilità e sviluppo di secondi tumori. Il MOPP resta invece un’alternativa valida nei pazienti cardiopatici per i quali l’uso dell’adriamicina è controindicato e nei rari casi di recidiva di malattia (ossia quando il tumore si ripresenta, dopo un periodo di tempo).

La radioterapia, quando indicata, prevede il trattamento dei linfonodi in cui il tumore si è sviluppato e di tutta la regione linfonodale di appartenenza dei linfonodi stessi (radioterapia involved field) da effettuarsi 5 giorni a settimana per alcune settimane. Durante il trattamento (che dura pochi minuti) il paziente è disteso su un lettino rigido ed isolato in una stanza dove una macchina (chiamata acceleratore lineare) gira intorno al suo corpo senza mai toccarlo ed emette radiazioni ad alta intensità, mirate alla sede malata.

La presenza di alcuni fattori sfavorevoli può essere motivo di scelta di cure più aggressive da parte dei medici (maggior dose di radioterapia, più cicli di chemioterapia) per una maggior probabilità di evoluzione negativa della malattia a 5 anni.

Quando il tumore non risponde alle cure praticate o recidiva (si ripresenta a distanza di tempo), diventa necessario ricorrere al trapianto di cellule staminali autologhe o allogeniche (ossia con cellule prelevate dal paziente stesso o da un donatore compatibile), preceduto da una dose molto elevata di chemioterapia.

I pazienti che non possono essere sottoposti al trapianto, possono ricevere una terapia che prevede l’uso di un farmaco intelligente, chiamato Brentuxima Vedotin, un anticorpo selettivo verso il componente CD-30 presente sulla cellula tumorale.

Tossicità

Al completamento delle cure il paziente verrà sottoposto ad un attento follow up, che prevede una valutazione periodica attraverso esami del sangue, visita medica e TAC di controllo, per verificare la presenza di eventuali effetti collaterali e/o segni/sintomi di ripresa della malattia.

Effetti collaterali possibili in corso di cure chemioterapiche sono:

  • caduta temporanea dei capelli,
  • nausea e/o vomito,
  • diarrea,
  • alterazioni delle analisi del sangue, con riduzione dei globuli bianchi, piastrine ed emoglobina,
  • infiammazione ed infezione del cavo orale (mucosite),
  • maggiore suscettibilità alle infezioni,
  • formicolii alle estremità delle dita delle mani e dei piedi,
  • stanchezza,
  • ispessimento e modifiche del colore delle unghie,
  • tossicità cutanea (arrossamento della cute, prurito o comparsa di aree brunastre),
  • stravaso dei farmaci, con comparsa di vescicole o ulcere cutanee, flebiti e dolore lungo il decorso della vena,
  • reazioni allergiche.

La tossicità cutanea, la stanchezza e la mucosite sono frequenti anche in corso di radioterapia.

La cute appare secca, fragile ed arrossata esclusivamente in un’area limitata del corpo, quella trattata con le radiazioni.

Gli effetti collaterali possono manifestarsi anche a distanza di mesi e, in alcuni casi, addirittura di anni dalla fine delle cure praticate (si parlerà in questo caso di tossicità tardiva). Sono effetti collaterali generalmente rari e favoriti da alcune condizioni specifiche del paziente (quali presenza di malattie concomitanti). Comprendono per esempio:

Se il paziente è giovane e di sesso maschile è opportuno che effettui la crioconservazione dello sperma, prima di sottoporsi alle cure; alla donna si consiglia la conservazione degli ovuli e l’impiego di farmaci estro-progestinici per bloccare temporaneamente il ciclo mestruale, mettendo così a riposo le ovaie.

Durante il trattamento chemio-radioterapico e per circa 2 anni dopo il termine delle cure è inoltre controindicata una gravidanza per i possibili effetti teratogeni dei farmaci e delle radiazioni sul feto.

 

A cura della Dr.ssa Tiziana Bruno, medico chirurgo

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Importante

Revisione a cura del Dott. Roberto Gindro (fonti principali utilizzate per le analisi http://labtestsonline.org/ e Manual Of Laboratory And Diagnostic Tests, Ed. McGraw-Hill).

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