Introduzione
La malattia di Alzheimer (o demenza di Alzheimer) è una patologia neuro-degenerativa caratterizzata dalla progressiva perdita di neuroni in specifiche aree del Sistema Nervoso Centrale, che esita in un quadro di demenza e di atrofia cerebrale.
È purtroppo una malattia molto diffusa, di cui è possibile operare una prima classificazione in base all’età di comparsa:
- Precoce: sotto i 65 anni, ma è una forma molto rara.
- Tardiva: più frequente ed aumenta in maniera esponenziale dopo i 65 anni, raggiungendo una prevalenza del 20% nei soggetti ultraottantenni.
Non si conosce con esattezza la causa di base, ma sono stati ipotizzati due meccanismi principali:
- Accumulo di proteine anomale a livello intra ed extracellulare
- Perdita di neuroni colinergici di particolari aree cerebrali.
L’insorgenza della malattia si presenta con sintomi molto sfumati che, se all’inizio tendenzialmente interessano soprattutto la memoria, successivamente coinvolgono anche le funzioni corticali superiori come il linguaggio, la comprensione, la capacità di compiere movimenti volontari, …
A lungo andare la malattia compromette in maniera importante la qualità di vita del paziente, sfociando nella perdita totale dell’autonomia nelle attività quotidiane.
La prognosi della malattia non è buona in quanto non esiste un trattamento vero e proprio; l’obiettivo degli attuali approcci terapeutici è limitato a rallentare l’evoluzione della malattia e dei sintomi attraverso la somministrazione di farmaci che agiscono a livello neuronale per aumentare la disponibilità dei neurotrasmettitori e quindi potenziare le funzioni cognitive.

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Cause
La malattia di Alzheimer si può sviluppare per:
- Cause genetiche: costituiscono il 5-10% dei casi di malattia.
- Cause sporadiche o multifattoriali: sono alla base del 90-95% dei casi.
A prescindere da questa distinzione, le basi neuropatologiche della malattia stessa sono ad oggi ricondotte a due ipotesi eziologiche principali:
- Danno strutturale
- Perdita dei neuroni colinergici
Secondo l’ipotesi del danno strutturale, la malattia potrebbe essere causata dal deposito di materiale anomalo a livello sia intra che extracellulare, responsabile dell’attivazione di processi infiammatori e che conducono ad una distruzione delle cellule neuronali.
A livello cerebrale, la corretta funzionalità neuronale viene controllata da una serie di proteine e di fattori, tra cui spicca la “proteina precursore dell’amiloide” (APP) e i suoi frammenti. In condizioni normali questa proteina viene tagliata da specifici enzimi (secretasi) allo scopo di creare frammenti non tossici; se per un “errore” (a base genetica o multifattoriale) delle secretasi questa proteina viene tagliata in punti differenti, si creano frammenti di peptide β-amiloide, in grado di accumularsi progressivamente a livello extracellulare causando un danno importante alle strutture neuronali interessate per reazione infiammatoria.
Contemporaneamente, a livello intracellulare, esistono proteine che formano lo scheletro dei neuroni e che sono fondamentali per la loro stabilità, tra cui la cosiddetta “proteina tau”. L’accumulo esterno di peptide β-amiloide invia segnali all’interno della cellula attraverso recettori di membrana che causano la degenerazione dello scheletro cellulare e l’accumulo di proteina tau sotto forma di “ammassi neurofibrillari”, che esitano in una degenerazione e successiva morte dei neuroni.
L’ipotesi alternativa è incentrata sulla perdita di specifici neuroni responsabili del corretto funzionamento della memoria (in un’area del cervello chiamata nucleo basale di Meynert); questi neuroni utilizzano acetilcolina come molecola di trasmissione delle informazioni (trasmissione colinergica) e se per un qualche difetto di funzionalità neuronale si viene a determinare una riduzione nella disponibilità di questo neurotrasmettitore si osserverà una degenerazione delle cellule nervose, che in seguito andrà ad interessare anche le aree cerebrali vicine, progredendo fino ad uno stato di atrofia cerebrale che spiegherebbe i sintomi tipici della malattia.
Fattori di rischio
Anche se non si conoscono con precisione le cause alla base dello sviluppo della malattia di Alzheimer, sono stati individuati diversi fattori di rischio in grado di favorirne l’insorgenza:
- Fattori non modificabili:
- Età
- Sesso femminile
- Familiarità per malattie neurodegenerative
- Modificabili:
- Fumo
- Esposizione a tossici
- Diabete
- Ormoni estrogenici
- Fattori di rischio cardiovascolare (obesità, ipertensione, iperlipidemia, …)
- Livello di istruzione e di attività intellettuale ridotto
Sintomi
La malattia di Alzheimer può essere didatticamente divisa in due diverse fasi:
- Fase pre-dementigena
- Fase dementigena.
La fase di “predemenza” è definita anche come “malattia di Alzheimer prodromica” ed è caratterizzata da sintomi clinici di lieve entità, senza compromissione delle funzioni cognitive, ma durante la quale è già possibile rilevare la positività dei biomarcatori tipici della malattia, soprattutto nel liquido cefalo-rachidiano (liquor).
La malattia di Alzheimer è una malattia cronica a lenta progressione, per cui i sintomi tendono a svilupparsi in maniera sfumata e a passare inosservati per molto tempo; nelle fasi avanzate, tuttavia, la presenza di queste anomalie compromette profondamente la qualità di vita del paziente, fino a causare una definitiva perdita di autonomia.
Sintomi iniziali
Clinicamente, quando la malattia inizia a manifestarsi, le alterazioni più frequenti che si possono osservare coinvolgono già diversi ambiti:
- Disturbi della memoria di fissazione (difficoltà a ricordare fatti e conversazioni recenti).
- Disturbi della memoria di lavoro (si tende a dimenticare cosa si stia facendo in quel preciso momento).
- Disturbi della memoria semantica (incapacità di ricordare nozioni basilari)
- Anomalie del comportamento (apatia, disinibizione, impoverimento delle relazioni sociali)
- Disturbi psichiatrici: inizialmente si manifesta una deflessione del tono dell’umore (episodi depressivi ricorrenti), mentre nelle fasi avanzate si viene a delineare una personalità delirante con insorgenza di illusioni e allucinazioni.
Sintomi avanzati
Soprattutto nelle fasi avanzate, quando l’atrofia cerebrale interessa in maniera diffusa le strutture corticali, possono insorgere alterazioni delle funzioni superiori, manifestate in forma di:
- Afasia (disturbo del linguaggio caratterizzato dall’incapacità di comporre o comprendere il linguaggio, parlato o scritto)
- Aprassia (disturbo del movimento volontario caratterizzato dall’incapacità di compiere dei gesti coordinati e diretti ad un fine particolare)
- Agnosia (disturbo della percezione caratterizzato dall’incapacità di riconoscere oggetti, persone e luoghi)
- Disturbi visuo-spaziali (difficoltà nello svolgimento di compiti di natura non verbale, a causa di stime errate sulla posizione degli oggetti e delle loro relazioni)
- Disorientamento nel tempo e nello spazio
Diagnosi e test
La diagnosi di certezza di malattia di Alzheimer è possibile solo attraverso un’autopsia, post mortem, in quanto risulta unico approccio in grado di evidenziare con certezza l’accumulo di proteine anomale a livello cerebrale; sono stati tuttavia sviluppati diversi criteri clinici (“NINCDS-ADRDA Criteria”) che permettono di formulare una diagnosi probabile di malattia sulla base della presenza/assenza di determinati sintomi e segni.
Per giungere a questo tipo di diagnosi, quindi, è necessario iniziare l’inquadramento del paziente con un’attenta raccolta anamnestica, utile per indagare i tempi di insorgenza della malattia, il tipo di sintomi manifestati, quanto essi compromettono la qualità della vita del paziente, la presenza di altre malattie che possano simulare la sintomatologia della malattia di Alzheimer.
Risulta utile, poi, eseguire un esame obiettivo del paziente, soprattutto per indagare la presenza di segni neurologici suggestivi di altre patologie e fare quindi diagnosi differenziale con altre malattie simili.
Molto importante per la diagnosi è l’esecuzione di indagini laboratoristiche e radiologiche, che entrano a far parte dei criteri necessari all’inquadramento diagnostico:
- Esami ematochimici: le analisi del sangue possono essere utili per escludere anomalie elettrolitiche o ormonali (come l’ipotiroidismo) che possono simulare alcuni aspetti della malattia; si valutano anche i livelli dei markers infiammatori come le citochine e le molecole dello stress ossidativo.
- Analisi del liquido cefalo-rachidiano: attraverso una puntura spinale viene prelevato un piccolo quantitativo di liquido cerebrospinale su cui vengono valutate la presenza di biomarkers di malattia di Alzheimer: proteina β-amiloide, proteina tau e proteina tau fosforilata.
- Risonanza magnetica (RM) cerebrale o TC cerebrale: attraverso questi studi di imaging si può valutare il grado di atrofia delle strutture cerebrali e di allargamento dei solchi.
- PET con Fluorodesossiglucosio (FDG): tecnica diagnostica di medicina nucleare che utilizza un tracciante radiomarcato per valutare il metabolismo glicidico a livello cerebrale.
- PET con studio di amiloide: tecnica che utilizza dei traccianti specifici per l’individuazione dei depositi di amiloide a livello delle aree cerebrali.
Secondo i criteri clinico-diagnostici NINCDS-ADRDA, si parla di diagnosi probabile di malattia di Alzheimer quando si trova conferma ad un criterio principale A, in associazione ad uno o più degli altri criteri minori:
- Criterio A: presenza di un’iniziale e significativa compromissione della memoria episodica che include le seguenti caratteristiche:
- Graduale e progressivo cambiamento, per più di sei mesi, nella funzione della memoria riferito dai pazienti stessi o da informatori.
- Dimostrazione oggettiva che la memoria episodica è significativamente compromessa ai test (generalmente consiste in deficit di rievocazione che non migliora o non si normalizza con l’uso di facilitazioni).
- La compromissione della memoria episodica può essere isolata o associata ad altri cambiamenti cognitivi, all’inizio della malattia o nella fase avanzata.
- Criterio B: presenza di un’atrofia del lobo temporale mediale:
- Perdita del volume dell’ippocampo, della corteccia entorinale e dell’amigdala, evidenziate alla RM con stime qualitative che usano un’assegnazione del punteggio visivo (in riferimento alle caratterizzazioni della popolazione con le norme dell’età) o con la volumetria quantitativa delle regioni di interesse (sempre in riferimento alle caratterizzazioni della popolazione con le norme dell’età).
- Criterio C: anormalità dei biomarkers del fluido cerebrospinale:
- Basse concentrazioni della β-amiloide, aumento delle concentrazioni della tau totale o aumento delle concentrazioni della fosfo-tau o varie combinazioni delle tre.
- Criterio D: presenza di un modello specifico alla neuroimaging funzionale con la PET:
- Ridotto metabolismo del glucosio nelle regioni bilaterali temporali e parietali.
- Criterio E: dimostrazione di mutazioni dominanti autosomiche della malattia di Alzheimer all’interno di parenti stretti.
Sempre grazie allo studio del quadro clinico si può fare anche diagnosi di esclusione della malattia, basata essenzialmente su diversi criteri che azzerano la probabilità di malattia di Alzheimer:
- Storia di malattia (inizio improvviso dei sintomi)
- Caratteristiche cliniche (segni neurologici focali come emiparesi e perdita sensoriale)
- Presenza di altre malattie neurologiche responsabili di deficit di memoria e dei sintomi correlati (depressione maggiore, malattia cerebrovascolare, demenze non Alzheimer, …)
Cura e decorso
La prognosi della malattia è molto incerta e variabile. Nonostante le varie forme di presentazione dei sintomi, il declino cognitivo è inevitabile e nel tempo si possono associare anche disturbi psichiatrici importanti (ansia, depressione, insonnia, paranoia), così come anche difficoltà nella deambulazione e nel compiere le normali attività della vita quotidiana.
Il paziente va incontro ad exitus tra i 3 e i 10 anni dopo la diagnosi di malattia e il decesso solitamente è causato da una serie di malattie intercorrenti, tra cui una delle più importanti è la polmonite.
Non esiste una vera e propria terapia per la malattia di Alzheimer, tuttavia sono disponibili approcci terapeutici farmacologici con lo scopo di rallentare l’evoluzione della malattia e di controllarne i sintomi.
I farmaci che vengono maggiormente utilizzati sono:
- Inibitori dell’acetilcolinesterasi cerebrale (donepezil, rivastigmina, galantamina), molecole che bloccano l’attività dell’acetilcolinesterasi, un enzima che normalmente degrada la acetilcolina (un importante trasmettitore neuronale).
- Antagonisti del recettore N-metil-d-aspartato (memantina): aumentando la concentrazione del neurotrasmettitore glutammato a livello delle sinapsi cerebrali, questo farmaco sembra migliorare la capacità cognitiva e funzionale dei pazienti con malattia di Alzheimer da moderata a grave.
- Antipsicotici e antidepressivi: usati per controllare i sintomi psichiatrici.
A supporto della terapia farmacologica, inoltre, si può sottoporre il paziente ad interventi non farmacologici come:
- Terapia occupazionale
- Terapie comportamentali
- Terapie cognitive
- Training sensoriale
- Psicoterapia.
A cura del Dr. Dimonte Ruggiero, medico chirurgo
Fonti e bibliografia
- Il Bergamini di Neurologia. Miutani R., Lopiano L., Durelli L, Mauro A., Chiò A. Ed. Libreria Cortina Torino.
- Bianchetti, Angelo. I nuovi criteri per la diagnosi clinica della malattia di Alzheimer e del Mild Cognitive Impairment: quale utilità sul piano clinico?. Psicogeriatria. II. 19-23.
- MedScape
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