Introduzione
Le malformazioni arterovenose (MAV) sono patologie che consistono in anomalie vascolari, in cui le arterie vanno a confluire direttamente nel distretto venoso bypassando il circolo capillare, che è invece fondamentale per:
- Distribuire i nutrienti e l’ossigeno ai tessuti
- Raccogliere ed eliminare i metaboliti e le sostanze di scarto
- Ridurre la pressione, elevata nelle arterie e bassa nel distretto venoso.
Il compartimento venoso viene dunque ad essere sottoposto a pressioni elevate (fino 100 volte maggiori alla pressione fisiologica) che, per le sue caratteristiche strutturali, non è in grado di sopportare, con conseguenti rotture di parete e conseguenti emorragie o trombosi cerebrali.
Una MAV può verificarsi nel cervello, nel tronco cerebrale o nel midollo spinale.
La patologia può rimanere asintomatica per anni, ovvero priva di una qualsiasi manifestazione, ma sotto il persistente rischio di una rottura emorragica; quando presenti le manifestazioni più comuni comprendono emorragia (sanguinamento), convulsioni, mal di testa e problemi neurologici come paralisi o perdita della parola, della memoria o della vista.
Spesso queste malformazioni asintomatiche vengono scoperte accidentalmente durante l’esecuzione di esami richiesti per altre ragioni (ad esempio a seguito di risonanza magnetica al cervello); la diagnosi è basata su esami di neuroimaging e sullo studio angiografico, mentre il trattamento prevede un approccio multidisciplinare che può comprendere neurochirurgia, radiochirurgia e/o approccio endovascolare.
Cause
La malformazione arterovenosa è una patologia congenita, ovvero presente alla nascita, ma quasi mai ereditaria (un’eccezione è rappresentata dalla sindrome di Rendu-Osler-Weber, rara sindrome ereditaria caratterizzata da MAV cerebrali associate ad altre malformazioni vascolari in altri distretti corporei).
Si presentano con la stessa incidenza nei due sessi e si stima che lo 0,1% della popolazione ne soffra a livello cerebrale (un soggetto su 1000), ma con sintomi ed evidenze cliniche che riguardano il 12% dei casi.
Esiste anche una forma acquisita di MAV, che si sviluppa a livello delle meningi, e che consiste nelle cosiddette fistole arterovenose durali, in grado di originarsi a seguito di un danno vascolare di tipo traumatico od infettivo.
Anatomicamente la MAV è formata da:
- Una o più arterie afferenti
- Un nidus, ovvero un gomitolo di vasi patologici connesso da un lato con le arterie afferenti e dall’altro con gli scarichi venosi. All’interno di questo groviglio in genere non c’è mai parenchima funzionante.
- Una o più vene di drenaggio, che appaiono arterizzate in quanto sottoposte ad una pressione molto maggiore rispetto al normale, poiché il sangue ad alta pressione proveniente dalle arterie non passa per il circolo capillare che normalmente ne ridurrebbe la pressione.
Sintomi
Le malformazioni arterovenose tendono a rimanere a lungo asintomatiche, con le prime manifestazioni che compaiono tra i 20 ed i 40 anni.
Possono insorgere nel cervello e/o nel midollo spinale e la sintomatologia sarà quindi funzione del distretto anatomico di sviluppo.
Tra i sintomi caratteristici si annoverano:
- Cefalea cronica (riscontrata in più del 40% dei casi)
- Crisi epilettiche
- Trombosi
- Deficit neurologici, perché la MAV sequestra una quantità di sangue più o meno rilevante alle zone adiacenti del cervello, che quindi vanno in sofferenza
- Alterazioni della vista
- Difficoltà di movimento
Complicazioni
Una MAV può causare emorragie (sanguinamento) responsabili di convulsioni, mal di testa e problemi neurologici anche gravi, come paralisi o perdita della parola, della memoria o della vista. In caso di emorragia cerebrale (ictus emorragico) esiste un 30% di possibilità di sviluppare danni permanenti ed un 10% di esito fatale; una MAV che abbia già sanguinato presenta un rischio molto elevato di andare incontro ad un ulteriore episodio emorragico.
Diagnosi
Lo specialista di riferimento per le malformazioni arterovenose è il medico neurochirurgo, che effettuerà una visita specialistica e richiederà degli esami strumentali specifici per giungere alla formulazione della diagnosi.
In molti pazienti la diagnosi di MAV è casuale, come nel caso degli aneurismi cerebrali, a seguito di riscontro accidentale di esami di imaging richiesti per altre cause; l’esame strumentale inizialmente richiesto è la risonanza magnetica nucleare, che permette di fornire informazioni accurate e precise su sede della malformazione e caratteristiche strutturali della stessa.
Successivamente sarà richiesto uno studio angiografico, al fine di valutare le caratteristiche del flusso e l’impatto dello stesso sulle strutture venose e per progettare un futuro trattamento terapico.
Le MAV vengono stadiate in base alla classificazione di Spetzler – Martin in 5 gradi a seconda di:
- Dimensioni del nidus (corpo centrale della malformazione)
- Localizzazione
- Presenza di scarichi venosi profondi o superficiali
Maggiore è il grado maggiore è il rischio di sanguinamento e la complessità del trattamento.
Cura
L’approccio alle MAV richiede tipicamente l’intervento di un team multidisciplinare in cui non può mancare il neurochirurgo, la stroke unit, la radiochirurgia e la neuroradiologia interventistica.
I trattamenti possibili vengono valutati in funzione della sede della malformazione, delle sue dimensioni e caratteristiche nonché dalla sintomatologia accusata dal paziente e dal suo stato di salute generale. L’obiettivo principale, oltre ad ottenere un controllo della sintomatologia, è prevenire l’insorgenza di ictus emorragico, per cui occorre bilanciare i rischi derivanti dal trattamento interventistico e quelli derivanti dalla presenza della MAV stessa.
La prima scelta è quindi quella tra
- una gestione conservativa, ovvero una vigile attesa caratterizzata da controlli periodici, nei pazienti considerati a basso rischio emorragico, oppure che coloro i quali presentino un alto rischio di eventi avversi in seguito a trattamento;
- risoluzione chirugica od interventistica.
Il rischio di emorragia in un paziente affetto da MAV cerebrale è di circa il 2-4% l’anno, mentre la possibilità percentuale di sviluppare un sanguinamento nel corso della vita può essere molto indicativamente calcolata come 100- età attuale del paziente (minore è l’età del paziente, maggiore sarà il rischio di emorragia e quindi la possibilità che si opti per l’intervento terapeutico).
Nei pazienti che hanno già subito una pregressa rottura della MAV è indubbiamente consigliato il trattamento interventistico per l’elevato rischio di ulteriori episodi.
Il trattamento può comprendere uno o più dei seguenti approcci:
- Trattamento endovascolare: è un intervento mininvasivo che consiste nell’introduzione di un catetere a livello inguinale e dall’arteria femorale, guidandoli fino ai distretti vascolari interessati dalla MAV. Si procede quindi all’iniezione locale di sostanze embolizzanti allo scopo di ridurre progressivamente il flusso sanguigno. In MAV di piccole dimensioni si può riuscire ad ottenere una completa chiusura dell’anomalia, ma nella maggior parte dei casi questo approccio è invece funzionale ai successivi trattamenti, in quanto consente una migliore risposta. (embolizzazione pre-chirurgica o pre-radiochirurgica).
- Trattamento chirurgico: è un intervento che consiste nell’isolare la MAV andando a chiudere tutti i vasi afferenti, ottenendo una progressiva riduzione di sangue che consenta di chiudere poi anche le vene di scarico ed asportare in toto la lesione. All’interno del MAV non c’è tessuto cerebrale funzionante, per cui la sua asportazione non genera successive complicazioni.
- Trattamento radiochirurgico stereotassico con Gamma Knife: tramite la terapia radiante si cerca di chiudere le afferenze arteriose alla MAV, inducendo la fibrosi dei vasi, così da renderla funzionalmente inattiva. Questo trattamento ha un’efficacia dimostrata solo per MAV con un volume inferiore ai 3 cm, mentre volumi superiori sono gravati da frequenti le recidive. Inoltre, per ottenere una completa chiusura dei vasi afferenti, possono essere necessari più di tre anni di terapia, durante i quali i rischi trombotici o emorragici restano invariati; inoltre è da considerare anche il rischio radio-necrotico, ovvero il danno che le radiazioni esercitano sul tessuto cerebrale sano (che risulta essere dose dipendente).
A cura del Dr. Mirko Fortuna, medico chirurgo
Articoli correlati ed approfondimenti
- Angioplastica: intervento, rischi, efficacia
- Insufficienza venosa alle gambe: sintomi, rimedi e cura
- Pancreatite cronica: sintomi, cause, pericoli e cura
- Articolo presente nelle categorie: Malattie e Circolazione