Introduzione
La malattia di Wilson, conosciuta anche con il nome di degenerazione epatolenticolare, è una condizione genetica rara (ne è affetto 1 soggetto su 30.000) che determina un pericoloso accumulo di rame in vari tessuti e organi del soggetto che ne è affetto: la conseguenza della patologia è rappresentata da manifestazioni sintomatologiche neurologiche e psichiatriche, le prime ad insorgere negli adulti con malattia di Wilson, nonché epatiche (cirrosi, insufficienza epatica, cancro al fegato), che rappresentano invece il primo sintomo dell’insorgenza nei bambini (fin dai 5 anni d’età).
La malattia comporta, dunque, un difetto nel metabolismo del rame che si accumula in maniera prevalente a livello del fegato e del cervello, ma anche nella cornea e nei reni e più raramente anche in altri distretti; l’accumulo è tale da provocare dei danni alle cellule.
La diagnosi della malattia di Wilson è molto complessa a causa della molteplicità di sintomi che essa comporta e della difficile individuazione precoce.
È una patologia che può essere letale se non tenuta costantemente sotto controllo e trattata con specifici farmaci, volti al riassorbimento del rame e alla rimozione della quantità in eccesso (penicillamina o trientina), contestualmente ad una dieta accuratamente ponderata volta a ridurre il più possibile il consumo del minerale e, nei casi più gravi, con un trapianto di fegato. Le possibili vie per il trattamento possono garantire al paziente una buona qualità della vita e l’involuzione della sintomatologia.
Causa
La causa della patologia risiede in un difetto genetico che altera il funzionamento di una specifica proteina, inficiando così il trasporto del rame introdotto nel corpo con l’alimentazione; si accumula inizialmente nel fegato, seguito poi da altri distretti quali cervello, occhi (anello di Kayser-Fleischer) e reni attraverso il flusso ematico.
Trasmissione ed ereditarietà
La condizione è una patologia autosomica conseguente ad una mutazione nel gene ATP7B localizzato sul cromosoma 13, responsabile della codifica di una proteina-enzima responsabile dell’escrezione del rame attraverso la bile.
La mutazione è presente in un individuo su cento e che tuttavia risulta asintomatico: il soggetto che rischia di manifestare i sintomi della malattia di Wilson è invece colui che ha ereditato l’anomalia genetica da entrambi i genitori (malattia autosomica recessiva).
Sintomi
I segni e i sintomi della malattia di Wilson sono correlati a specifici fattori, come ad esempio l’età di insorgenza: durante l’età pediatrica i primi sintomi coinvolgono principalmente il fegato, mentre in seguito, a partire dall’adolescenza, i sintomi andranno a coinvolgere sorpattutto il cervello.
La sintomatologia tende quindi ad insorgere in un’età compresa tra i 5 e i 35 anni, nonostante possa comparire anche prima, ossia intorno ai due anni di età, o dopo, ossia fino ai 72.
I sintomi epatici annoverano:
- Ingrossamento del fegato (epatomegalia)
- Emorragie
- Dolore addominale
- Ittero
- Ascite
- Alterazione degli indici di funzionalità epatica
- Epatite cronica
- Cirrosi epatica con fibrosi
- Teleangectasia (distensione dei vasi sanguigni)
- Insufficienza epatica acuta o cronica grave
- Cancro del fegato
I sintomi neurologici possono invece manifestarsi in forma di:
- Tremori, crampi, spasmi, contratture
- Rallentamento ed ipocinesia (riduzione o lentezza dei movimenti intenzionali del corpo)
- Sindrome delle gambe senza riposo
- Diplopia (visione doppia)
- Affaticamento
- Disartria (difficoltà nell’articolazione delle sillabe che compongono una parola.)
- Disfagia
- Disturbi della coordinazione motoria
La sintomatologia psichiatrica riguarda la possibilità di manifestare:
- Depressione
- Ansia
- Stati di confusione mentale
- Sintomi psicotici come allucinazioni e deliri
- Sintomi tipici della demenza
- Iposessualità o ipersessualità
- Amnesie
- Aprassie (incapacità di eseguire compiti motori intenzionali appresi in precedenza)
- Agnosie (incapacità di riconoscere ed identificare un dato oggetto, profumo, forma, persona, …)
- Rigidità di pensiero
Purtroppo anche altri organi possono essere coinvolti nella malattia di Wilson, come ad esempio gli occhi che possono manifestare i caratteristici anelli di Kayser-Fleischer, un sintomo patognomonico della patologia in questione e che consiste nella presentazione di anelli color oro che circondano l’iride, proprio a causa dell’accumulo di rame.
Possono essere coinvolti anche i reni, comportando solitamente nefrocalcinosi (accumulo di rame nell’organo) e il cuore, che può sviluppare insufficienza cardiaca o aritmie.
Altri sintomi comprendono infine
- Anemia emolitica (anemia sostenuta da un aumentato tasso di distruzione dei globuli rossi)
- Indebolimento osseo con osteoporosi, osteomalacia e artrosi
- Amenorrea (mancanza di mestruazioni)
- Ematuria (sangue nelle urine)
- Infezioni cutanee
- Ipoparatiroidismo
Diagnosi
La malattia di Wilson viene sospettata in tutti i soggetti di età inferiore ai 40 anni che:
- Presentano una patologia epatica, neurologica o psichiatrica non imputabile ad altre cause
- Mostrano un eccessivo ed inspiegabile aumento delle transaminasi epatiche
- Presentano familiarità
- Presentano epatite
Il medico effettuerà, dunque, un’attenta indagine anamnestica per verificare le condizioni sopra-descritte, seguite da specifici esami obiettivi:
- Esame oculistico con lampada a fessura per verificare la presenza degli anelli di Kayser-Fleischer,
- Esami del sangue per osservare:
- Ceruloplasmina sierica (sotto i 20 mg/100 mL è indicativa di malattia),
- Cupremia (livelli di concentrazione di rame),
- Funzione epatiche e funzioni renali,
- Esame dell’escrezione urinaria di rame nell’arco di 24 h per il dosaggio del rame (cupruria),
- Biopsia del fegato con analisi istologica,
- Prelievo ematico e analisi molecolare del gene ATP7B sul cromosoma 13 per verificare la presenza della mutazione associata alla malattia,
- Risonanza magnetica per osservare l’eventuale lesione del nucleo lenticolare, ossia la zona del cervello in cui tende ad accumularsi il rame.
È importante che la diagnosi sia tempestiva, ma è purtroppo di fatto difficile che ciò avvenga a causa del quadro sintomatologico particolarmente eterogeneo e della ridotta diffusione della malattia, fattori responsabili di un inevitabile ritardo nel riconoscimento della stessa.
Complicazioni
Se la malattia di Wilson non viene prontamente riconosciuta ed adeguatamente trattata può risultare fatale a causa della probabile evoluzione in insufficienza epatica acuta, tipicamente mortale per il paziente.
Cura
Per il trattamento della malattia di Wilson è primariamente importante prestare attenzione alla dieta, evitando cibi ricchi di rame come ad esempio:
- Funghi
- Noci
- Cioccolato
- Frutta secca
- Frutti di mare
Per quanto riguarda la terapia vera e propria, invece, è importante che vengano eliminati i depositi di rame nel fegato tramite l’utilizzo di:
- Penicillamina, il farmaco più utilizzato a questo scopo, che favorisce l’escrezione del rame attraverso le urine. Causa purtroppo effetti indesiderati a livello renale;
- Trientina, che condivide il risultato netto, seppure con ridotta efficacia ed un diminuito rischio di effetti indesiderati.
L’assorbimento del rame e il conseguente accumulo, inoltre, può essere ridotto grazie all’assunzione di zinco, che compete per l’assorbimento intestinale, specialmente nei primi stadi della malattia, in associazione all’utilizzo di penicillamina.
Se lo stadio della malattia è molto avanzato, tanto da presentare danni irreversibili al fegato, può essere necessario ricorrere al trapianto di fegato.
Prevenzione
Essendo una patologia ereditaria la malattia di Wilson non può essere prevenuta, risulta quindi essenziale che la diagnosi sia per quanto possibile precoce per garantire l’inizio del necessario trattamento a limitare l’evoluzione delle complicazioni; si raccomanda quindi di segnalare al proprio curante l’eventuale familiarità per la malattia per procedere alle necessarie analisi di verifica.
A cura del Dr. Enrico Varriale, medico chirurgo
Fonti e bibliografia
- MSD
- Ala, A., Walker, A. P., Ashkan, K., Dooley, J. S., & Schilsky, M. L. (2007). Wilson’s disease. The Lancet, 369(9559), 397-408.
Articoli ed approfondimenti
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