Introduzione
I piedi piatti rappresentano una frequente deformità che interessa il retropiede, ovvero la porzione del piede che comprende astragalo e calcagno (tallone); si manifesta con una riduzione dell’arco plantare, la normale curva che caratterizza la pianta del piede ed il conseguente aumento della superficie d’appoggio.
La severità con cui si può presentare l’alterazione è ampiamente variabile:
- Semplice caratteristica anatomica del piede che predispone tuttalpiù ad infiammazioni ricorrenti del seno del tarso, dovute ad un sovraccarico biomeccanico, trattabili con plantari e specifiche scarpe che modifichino la base d’appoggio del piede;
- Severità maggiore, che predispone a tendinopatiee achillee, trattabile con esercizi posturali (rinforzo della catena posturale);
- Deformità maggiore, che provoca instabilità peritalare mediale con conseguente tendinite posteriore di tipo cronico con la tendenza ad evolvere in una vera e propria degenerazione del tendine tibiale posteriore
Nel corso del tempo ai piedi piatti sono stati attribuiti differenti nomi: da sindrome pronatoria fino alla definizione più moderna di “progressive collapsing foot”, termine che ben descrive la caratteristica di certi tipi di piede piatto ad evolvere progressivamente. È necessario perciò riconoscere fin dalla diagnosi le caratteristiche con cui si presenta, ovvero se si tratta di una condizione di “progressive collapsing foot” caratterizzata dalla progressione e che per questo richiede fin da subito un approccio chirurgico al fine di bloccare l’evoluzione, evitando di giungere a gravi malformazioni difficilmente trattabili, oppure una condizione stabile per cui si rivelino sufficienti approcci meno invasivi.
Richiami di anatomia
Il piede è un organo più complesso di quanto potrebbe inizialmente apparire, perché in grado di svolgere almeno 2 differenti funzioni:
- Deambulazione e mantenimento della stazione eretta
- Funzione recettoriale posturale: il piede comunica con il sistema nervoso centrale fornendo costantemente informazioni riguardo alla posizione nello spazio e l’equilibrio del corpo
Il piede è costituito da 28 ossa, oltre muscoli ed articolazioni, ma le strutture coinvolte nel piede piatto sono tre:
- Astragalo
- Calcagno
- Tendine tibiale posteriore
Il piede piatto è infatti descritto come un collasso dell’astragalo, che si verticalizza, ed un calcagno che per compenso si valgizza, con il tendine tibiale posteriore che si trova teso per cercare di sorreggere la volta plantare.
Piano d’appoggio del piede
Il piede, durante la stazione eretta, non dovrebbe appoggiare con tutta la superficie plantare, bensì solo in tre specifici punti:
- testa del primo metatarso
- testa di quarto e quinto metatarso
- tuberosità del calcagno.
Dall’unione di questi tre punti derivano gli archi plantari: due longitudinale ed uno trasversale.
Cause
Le cause alla base della patologia non sono state ancora pienamente individuate, ma è bene sottolineare che alla nascita tutti abbiamo i piedi piatti, in quanto conformazione funzionale a muovere i primi passi (una pianta più larga permette di mantenere meglio l’equilibrio). È solo verso il quarto anno di vita che il piede inizia a subire delle trasformazioni che lo porteranno a raggiungere, intorno all’ottavo anno, la forma finale. Quando questo non accade il piede rimane pronato.
Tra le possibili cause e fattori di rischio che potrebbero condurre allo sviluppo del difetto anatomico si annoverano:
- cause genetiche (congenite)
- complicazioni post traumatiche
- brevità del tendine d’Achille (porta inizialmente ad una valgo-pronazione del retropiede con il calcagno che devia lateralmente e, in seguito, ad un piattismo plantare di tipo adattivo)
- patologie specifiche come l’artrite reumatoide
condizioni neurologiche (rare), come spina bifida, paralisi cerebrale, distrofia muscolare
Nonostante si possa essere portati a pensare all’obesità come ad un fattore di rischio rilevante, questo non è propriamente corretto e lo dimostra il fatto che la maggior parte dei soggetti obesi non ne soffrono; è purtuttavia certamente vero che in soggetti affetti da piedi piatti la condizione di obesità tenda comunque a peggiorare il problema, acuendone i sintomi ed accelerandone il decorso.
Sintomi
Nella maggior parte dei casi il piede piatto decorre in modo asintomatico e viene quindi sotto-diagnosticato. Le rappresentazioni sintomatiche più frequenti sono:
- Collasso della volta plantare più o meno accentuato, è ovviamente il sintomo più caratteristico e facilmente valutabile anche dal paziente osservando l’impronta del piede (ad esempio bagnandolo e poi appoggiandolo su un foglio di carta pesante)
- Dolore tibiale posteriore di tipo continuo o intermittente che si accentua dopo lunghe camminate o l’utilizzo di calzature con tacco. In certi casi tale dolore può seguire il decorso del tendine d’Achille fino ad irradiarsi anche al polpaccio.
- Crampi notturni
- Presenza di una sporgenza ossea a livello mediale, detta os tibialis (osso accessorio presente in meno di 1 persona su 10)
- Dolore laterale in corrispondenza dell’articolazione sottoastragalica (indice di piede piatto di stadio avanzato)
- Limitazione funzionale e turbe dell’andatura fino alla zoppia
Diagnosi
Lo specialista di riferimento per questa patologia è il medico ortopedico, che visita il paziente e si avvale di una serie di esami per valutare le caratteristiche del piede piatto e, soprattutto, se si tratti di una semplice caratteristica anatomica del piede oppure se sia una condizione caratterizzata da progressività per la quale occorre invece intervenire in modo incisivo nel minor tempo possibile, al fine di poter attuare un trattamento meno invasivo e complesso ed evitare di arrivare ad una disabilità più importante.
Il piede va sempre valutato in carico (ovvero con il paziente in piedi), in quanto condizione essenziale far lavorare il piede e generare così i sintomi (la valutazione a riposo può trarre in inganno).
Durante l’esame obiettivo verrà effettuato un esame podoscopico, un test che permette, mediante una pedana di vetro su cui il paziente sale a piedi nudi e un sistema di luci e specchi, di valutare l’impronta plantare. Un test più moderno dello stesso tipo è rappresentato dal baropodometro computerizzato, che fornisce tale immagine allo schermo di un computer permettendo di analizzare nel dettaglio tutte le caratteristiche della pianta del piede ed, eventualmente, di creare un plantare che si adatti perfettamente alle caratteristiche del piede riscontrate.
L’esame principe nella diagnosi del piede piatto è la TAC in carico con tecnologia cone-beam 3D. Questo esame permette di avere una visione tridimensionale del complesso caviglia-piede (cosa impossibile da ottenere con una semplice radiografia in carico che fornisce informazioni solo in due dimensioni e quindi incomplete e parziali).
Classificazione del piede piatto
Il piede piatto viene classificato secondo la classificazione di Myerson in 4 stadi a seconda dei distretti interessati:
- I stadio: retropiede isolato
- II stadio: retropiede. La volta plantare è ridotta ma ancora presente.
- III stadio: avampiede. La volta plantare non è più visibile.
- IV stadio: piede e caviglia. La volta plantare è completamente assente e il piede è gravemente deformato.
Viene inoltre valutato se sia possibile ridurre la deformità manualmente (piede piatto flessibile) o meno (piede piatto rigido).
Diagnosi differenziale
Il piede piatto deve essere messo in diagnosi differenziale con altre deformità che possono essere simili nell’aspetto ma che non rientrano nella definizione, come:
- piede di Charcot
- piede cavo-supinato.
Rimedi, plantari ed intervento
Non sempre il piede piatto è indice di patologia e dunque necessitante di trattamento, ad esempio:
- bambini fino agli otto anni: il piede piatto è una condizione fisiologica che tende a correggersi autonomamente con l’accrescimento
- adulti in cui il piede piatto sia solo una condizione anatomica, ovvero non associata ad altri disturbi o sintomi.
Nei casi di sviluppo di sintomi è invece necessario intervenire ed i possibili approcci sono di due tipi:
- Conservativo (oltre il 95% dei casi): è una metodica che si può usare esclusivamente su un piede piatto flessibile e consiste nell’uso di ausili protesici (come plantari con sostegno della volta) che, andando a modificare la base di appoggio del piede, migliorano i disturbi e in determinati casi bloccano l’evoluzione della patologia. Nei piedi piatti rigidi tali strumenti non sono di utilità in quanto il piede non è in grado di adattarsi al plantare stesso, che non può quindi svolgere la propria funzione.
- Chirurgico (minoranza dei casi): la chirurgia rappresenta l’unica opzione in grado di correggere il piede piatto, tuttavia è un’opzione che si riserva ad una minoranza di casi, quando gli interventi conservativi non consentano di ottenere i risultati sperati, quando ci si trovi davanti ad un piede notevolmente deformato, o ancora quando si sospetti un piede con una forte evolutività. A seconda delle caratteristiche del piede e della gravità della deformità esistono differenti approcci chirurgici:
- Osteotomia del calcagno e transfer tendinei: intervento riservato ai primi stadi, in cui si cerca di ripristinare l’anatomia del piede con il minimo di invasività
- Interventi di artrodresi: tale metodica, più complessa e articolata della precedente, è riservata a stadi maggiori e consiste nella fusione di una o più articolazioni al fine di ricreare la corretta anatomia del piede e riportarlo in asse
- Artrodesi associata a protesi di caviglia: intervento chirurgico complesso riservato allo stadio IV, quando cioè è coinvolta anche la caviglia, che diventa valga ed artrosica. È un intervento molto difficile che si effettua solo in centri di eccellenza.
In seguito all’intervento è previsto un tempo di circa un mese in cui il paziente dovrà indossare uno stivaletto gessato ed a seguire un periodo di riabilitazione funzionale del piede.
A cura del Dr. Mirko Fortuna, medico chirurgo