Introduzione
Il vaiolo è una malattia virale di origine antichissima, il faraone Ramses V ne morì già più di 3000 anni fa, ma ancora nel solo secolo scorso è stata responsabile di più di 500 mila morti.
È una patologia fatale in oltre il 30% dei casi e, nei pazienti che sopravvivono, lascia importanti sequele permanenti in forma di cecità e menomazioni estetiche molto profonde.
L’incubazione della patologia è compresa tra 7-17 giorni, è un periodo in genere asintomatico ed è raro il contagio.
I primi sintomi sono:
- Febbre elevata
- Malessere
- Emicrania
- Dolori articolari e muscolari
- Vomito
Questa fase dura 2-4 giorni, dopo i quali si osserva la comparsa di eruzioni cutanee eritematose, lesioni che iniziano a livello della lingua e della bocca per andare poi a coinvolgere tutto il volto e il corpo nell’arco di 24 ore. Quando queste si infettano si formano delle vere e proprie ulcere.
Il periodo dell’eruzione cutanea corrisponde a quello dello sfebbramento e il paziente inizia a sentirsi meglio, tuttavia in 3-4 giorni queste macchie diventano vescicole purulente, la febbre sale di nuovo e si mantiene alta finché le pustole non cicatrizzano. In 3-4 settimane dalla comparsa dei primi sintomi la grossa parte di queste pustole si è seccata e cade dalla pelle, residuando in una cicatrice profonda detta butteratura.
Nel 1980 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ne ha dichiarato ufficialmente l’eradicazione (l’ultimo caso noto è stato registrato nel 1977 in Somalia).
È una patologia che ancora oggi non dispone di cura: essendo di origine virale la terapia antibiotica risulta completamente inefficace e l’unica realistica opzione perseguibile è la prevenzione che si attua attraverso la vaccinazione. Il vaccino antivaioloso è formulato inoculando il virus Vaccinia, di origine bovina molto simile a quello del vaiolo. È usato il virus vivo per cui occorre prestare attenzione durante la vaccinazione per evitare che il virus si diffonda in tutto l’organismo.
L’uomo rappresenta l’unico ospite del virus, che non si trasmette per mezzo di animali o insetti, pertanto grazie a questa pratica, all’isolamento degli affetti e alla quarantena dei contagiati è stato possibile eradicare definitivamente il virus da un punto di vista clinico.
Ad oggi si possono trovare riserve del virus, nonostante l’invito della comunità scientifica internazionale e dell’OMS alla loro distruzione, solo in due laboratori al mondo, rispettivamente negli USA e in Russia, anche se tuttavia non si può escludere l’esistenza di altri campioni (il virus è sospettato di essere un’opzione per lo sviluppo di armi batteriologiche).
Allo stesso modo esistono riserve di vaccino antivaiolo conservate dall’OMS e anche nei depositi di numerosi Paesi, ad esempio in Italia esistono 5 milioni di dosi che in caso di necessità, tramite appropriate diluizioni, possono diventare 25 milioni.
Cause
Esistono due differenti virus in grado di causare il vaiolo, entrambi appartenenti alla famiglia degli orthopoxvirus:
- Virus Variola major: è il ceppo più virulento e con una mortalità maggiore. Si manifesta con febbre elevata e comparsa di pustole ulceranti su tutto il corpo. Può avere quattro manifestazioni cliniche:
- Forma ordinaria: 90% dei casi
- Forma modificata
- Forma maligna o piatta
- Forma emorragica
- Virus Variola minor: è la forma meno pericolosa, dalle manifestazioni più lievi e con una mortalità inferiore al 1%.
Trasmissione e contagio
Sono virus che resistono bene nell’ambiente e abbastanza piccoli da poter essere trasmessi tramite aerosol.
La trasmissione può avvenire per:
- Contatto diretto tra persone
- Contatto interposto tramite fluidi corporali infetti (saliva, sudore, escrezioni nasofaringee)
- Contatto interposto tramite oggetti contaminati (asciugamani, lenzuola, abiti, …).
Il paziente inizia ad essere significativamente contagioso dallo sviluppo dei sintomi, ma è durante la comparsa dell’eruzione cutanea che la probabilità di trasmissione tocca il suo apice.
In seguito alla caduta di tutte le crosticine, infine, la contagiosità cessa.
Sintomi
La variante major è caratterizzata da un’incubazione media di 10-12 giorni a cui segue un periodo prodromico di 2-4 giorni in cui il paziente sviluppa:
- febbre elevata
- mal di testa
- astenia e malessere generalizzato
- nausea, vomito
- dolori muscolari e articolari.
A questi fa seguito la comparsa di lesioni maculo papulari sulla mucosa della gola, bocca; dopo ulteriori 24-48 ore il rash si estende a volto, braccia ed infine tutto il corpo in circa 24-36 ore; in questa fase la temperatura corporea rientra temporaneamente.
Nella maggior parte dei pazienti le lesioni sulla cute vanno incontro ad un’evoluzione progressiva in vescica, piena di liquido, poi pustole sollevate di grandi dimensioni e dure al tatto. A circa 2 settimane dall’inizio della manifestazione cutanea, meno secondo alcune fonti, diventano croste ed in seguito alla loro caduta residuano cicatrici importanti e sfiguranti.
La mortalità, che avviene in genere durante la seconda settimana, è da attribuirsi alla massiccia risposta infiammatoria che provoca shock e insufficienza multiorgano.
Il 10% dei pazienti con variola major può sviluppare forme di malattia con decorso differente:
- Variante emorragica: ha un periodo prodromico più breve e intenso a cui segue un eritema generalizzato ed emorragie cutanee, delle mucose e del tratto gastrointestinale. Si manifesta soprattutto negli adulti, circa il 2%. Si hanno emorragie nel derma profondo che fanno assumere alla cute un aspetto nerastro, come carbonizzato. La morte sopravviene in 4-5 giorni.
- Variante maligna o vaiolo piatto: è così detto in quanto è caratterizzato da lesioni cutanee confluenti non pustolose. Si manifesta soprattutto nei bambini dove arriva a percentuali vicine al 70% dei casi. La sindrome prodromica è molto importante con febbre molto elevata e i sintomi propri della setticemia.
- Variante modificata: è la forma che si sviluppa nei soggetti vaccinati. I sintomi prodromici possono manifestarsi o meno, e comunque in modo molto più leggero della forma ordinaria.
Immagini
Prognosi e complicazioni
Il vaiolo è la malattia virale con la maggior mortalità mai registrata nella storia dell’uomo. Nel XX secolo si stima abbia fatto 500 milioni di morti.
La mortalità del vaiolo nella forma ordinaria, la più comune, è del 30% circa, influenzata soprattutto dalle caratteristiche delle lesioni cutanee:
- Lesioni poche e superficiali: mortalità del 10%
- Lesioni semi confluenti: mortalità del 25-50%
- Lesioni confluenti: mortalità del 50-75%
La mortalità nei bambini sotto l’anno di vita in ogni caso non è meno del 50% (muore un bambino su due).
Le altre forme si sono rivelate ancora più drammatiche e letali:
- Forma maligna: mortalità del 90% (muoiono 9 persone ogni 10)
- Forma emorragica: mortalità 100%
Il virus Variola minor ha invece una mortalità inferiore all’1%.
Tra le principali complicazioni della malattia ricordiamo:
- Respiratorie: dallo sviluppo di una relativamente banale bronchite a polmoniti fatali (è talvolta richiesta la ventilazione assistita)
- Infezioni batteriche secondarie
- Infezioni opportunistiche virali
- Encefaliti
- Malattie oculari: la cecità si registra nel 35-50% dei pazienti con cheratite e ulcera corneale
- Osteomieliti (infezione alle ossa) nei bambini
Diagnosi
Per la diagnosi e il trattamento di persone affette da vaiolo occorrono laboratori con livello di biosicurezza 4, il massimo esistente. In Italia ne esistono solo due: presso l’ospedale Sacco di Milano e l’ospedale Spallanzani di Roma.
Una volta valutati i segni e sintomi, aiutati da un’anamnesi che evidenzi un potenziale contatto con questo virus, come per esempio lavorare in laboratori in cui lo si studia, nel sospetto che si tratti di un’infezione di vaiolo va subito allertato il SISP (servizio di igiene e sanità pubblica) dell’ASL competente affinché vengano avviati i protocolli di sicurezza.
Gli esami di laboratorio per la diagnosi sono:
- Microscopia elettronica o coltura virale dal materiale raschiato dalle lesioni cutanee.
- PCR: è il gold standard. Per la conferma della diagnosi occorre documentare la presenza del DNA del vaiolo nei campioni di vescicole o pustole.
Diagnosi differenziale
In passato era una patologia facilmente confondibile con la varicella, la cui diagnosi differenziale avveniva clinicamente:
- Il vaiolo si localizza anche nel palmo delle mani e nelle piante dei piedi, sedi sempre risparmiate dalla varicella
- Le pustole del vaiolo hanno tutte la stessa dimensione mentre quelle della varicella hanno dimensioni e caratteristiche differenti a seconda del momento in cui si creano
Cura
Il trattamento del vaiolo, essendo una patologia virale, è sostanzialmente di supporto, accompagnato da terapia antibiotica ad ampio spettro per coprire eventuali sovrainfezioni batteriche.
L’FDA americana ha autorizzato per il trattamento del vaiolo il Tecovirimat, farmaco antivirale approvato nel 2018, quindi comunque mai testato sull’uomo ma considerato efficace sulla base di soli studi sperimentali.
L’isolamento del soggetto affetto è un aspetto fondamentale; il malato va isolato in stanze a pressione negativa equipaggiate con filtri a materiale particolato ad elevatissima efficacia.
I contatti stretti devono essere posti in sorveglianza sanitaria ed in quarantena precauzionale in attesa della comparsa di eventuali sintomi.
Vaccino
Appartengono alla stessa famiglia del virus responsabile del vaiolo altri virus in grado di infettare uomini e animali come:
- cowpox virus: vaiolo bovino
- vaiolo della scimmia
- vaccinia virus: virus vaccinico.
Questi virus presentano immunità crociata con il Variola virus, responsabile del vaiolo, per cui possono essere usati per la vaccinazione antivaiolosa che si effettua col virus vivo attenuato.
Il primo a rendersi conto della fattibilità di questo approccio fu il medico inglese Edward Jenner, che notò come le donne che si occupavano di mungere le vacche contraessero frequentemente il vaiolo bovino, ma difficilmente quello umano. Per la sua teoria inoculò con siero proveniente da pustole di vaiolo vaccino il figlio di 8 anni del proprio giardiniere e poi lo infettò col vaiolo umano, rilevando infine un effettivo sviluppo di immunità.
Questa fu la prima vera forma di vaccinazione (il nome vaccino deriva proprio da “vacca”, ovvero da quel primo preparato ottenuto dal vaiolo bovino); la scoperta, ottenuta calpestando ogni forma di etica e di morale, ha rivoluzionato la medicina moderna.
La vaccinazione dona un elevata immunità contro il vaiolo per 4-5 anni, poi inizia a diminuire e può essere necessaria una dose di richiamo; l’efficacia è stimata attorno al 95% e il vaccino si è dimostrato utile anche a contatto già avvenuto, purché somministrato entro qualche giorno dal possibile contagio.
La vaccinazione si effettua attraverso un ago tipico biforcato, attraverso il quale s’inoculano sottopelle varie dosi di virus, andando a provocare una piccola escoriazione. L’ago viene conficcato velocemente 15 volte su una zona di 5 mm di cute del braccio con una pressione tale da provocare un leggero stillicidio di sangue. Se il procedimento è stato effettuato correttamente in 3-4 giorni si va a formare nel punto di inoculo una piccola ferita rossiccia, che diverrà poi una vescica e dopo essersi riempita di pus si seccherà.
Entro una ventina di giorni dalla vaccinazione questa crosticina si secca e cade, andando a lasciare una tipica cicatrice.
Tra i più comuni effetti collaterali della vaccinazione si registrano:
- cefalea
- febbre
- dolori muscolari
- irritazioni su tutto il corpo
Occasionalmente in seguito alla vaccinazione si sono verificate complicanze potenzialmente fatali (fino a 500 ogni milione di vaccinati). Le persone con maggior probabilità di sviluppare effetti avversi sono quelle con:
- malattie della pelle (eczemi, dermatiti, …)
- sistema immunitario depresso (trapiantati, AIDS, pazienti oncologici, )
Eradicato il vaiolo, i rischi della vaccinazione andarono a superare quelli derivanti da contagio naturale, per cui la vaccinazione venne interrotta in tutto il mondo nel 1986.
Variolizzazione
Prima ancora dell’avvento della vaccinazione esisteva un’altra pratica per cercare di prevenire il vaiolo: la variolizzazione.
L’approccio consisteva nella somministrazione per insufflazione nasale delle croste vaiolose polverizzate ottenute da malati lievi. Se tale pratica ha successo si genera un’immunità verso il vaiolo, tuttavia i rischi sono che la persona venga direttamente infettata dal virus. La letalità di questa pratica è 0,5-2%, comunque molto inferiore rispetto al 30% della malattia stessa.
Tuttavia tale pratica fu soppiantata dalla scoperta della vaccinazione, pratica più sicura che evitava il rischio di trasmissione della malattia.
A cura del dr Mirko Fortuna, medico chirurgo.