- Introduzione
- Come si valuta
- Rischio tromboembolico
- Origine genetica e trasmissione
- Sintomi
- Gravidanza
- Complicazioni
- Fattori di rischio associati
- Prevenzione e terapia
- Fonti e bibliografia
Introduzione
Il Fattore V (FV, si legge fattore quinto) è una proteina coinvolta nel processo di coagulazione del sangue; il fattore V di Leiden, così denominato dalla città olandese in cui fu scoperto, ne rappresenta una sua variante, responsabile di un aumento del rischio di formazione di trombi (trombofilia) tipicamente a livello delle gambe e dei polmoni.
Si tratta di una variante in genere ereditata dai genitori e, per quanto la maggior parte dei soggetti coinvolti non svilupperà mai complicazioni, il rischio è di andare incontro a problemi di salute a lungo termine o ad eventi pericolosi per la vita.
La possibilità di sviluppare un coagulo sanguigno anormale dipende dal fatto che una persona possieda una o due copie della mutazione del fattore V Leiden. Considerando che a livello di popolazione generale circa 1 persona su 1.000 ogni anno sviluppa un trombo,
- la presenza di una copia della mutazione del fattore V di Leiden (eterozigosi) aumenta tale rischio da 3 a 8 su 1.000
- la presenza di due copie della mutazione può aumentare il rischio fino a 80 su 1.000.
Essere portatori della mutazione è piuttosto comune, tanto che è considerata la causa più comune di trombofilia ereditaria.
La condizione in eterozigosi (quindi con una sola copia di allele mutato) si presenta con una prevalenza in Europa del 2 – 5%, rispetto alla condizione in omozigosi (entrambe le copie di allele sono mutate) che ha una prevalenza che si attesta intorno allo 0.02%, quindi molto più bassa della corrispettiva forma in eterozigosi.
Allo stesso tempo si è osservato che circa il 25% dei soggetti che hanno manifestato un episodio di trombosi venosa profonda o un quadro di embolia polmonare, si presentano portatori di mutazione del fattore V in condizione di eterozigosi o di omozigosi.
La mutazione può essere riscontrata in entrambi i sessi, con un egual rischio di complicazioni, ma nelle donne si osserva in particolare uno spiccato aumento durante la gravidanza od in caso di assunzione di farmaci ormonali (a base di estrogeni).
Nei pazienti considerati a rischio è possibile valutare l’assunzione di farmaci anticoagulanti in forma preventiva.
Come si valuta
È possibile verificare la presenza della mutazione del fattore V di Leiden mediante un normale esame del sangue
Rischio tromboembolico
È esperienza comune di come l’organismo sia in grado di attivare rapidamente fenomeni di coagulazione per arrestare emorragie dovute ad esempio a piccoli o grandi traumi; questi meccanismi biochimici riducono la perdita di sangue e costituiscono l’inizio del processo di riparazione della ferita.
L’incapacità di creare coaguli significherebbe non riuscire ad arrestare le emorragie, ma allo stesso tempo un’eccessiva tendenza alla coagulazione può causare la formazione di coaguli nel normale circolo sanguigno e senza una reale necessità, con il rischio che vadano ad occludere vasi sanguigni (ad esempio di una vena, ovvero una trombosi venosa profonda, che tipicamente interessa le gambe).
Un organismo sano mantiene quindi un delicato equilibrio tra la fluidità del sangue e la capacità di produrre rapidamente coaguli, ma solo in caso di necessità.
Il termine trombofilia indica uno spostamento di questo equilibrio verso la formazione di trombi ed una delle possibili cause è la mutazione del fattore V di Leiden.
Il fattore V è coinvolto nella cascata della coagulazione come cofattore del fattore X (“decimo”) per attivare l’enzima protrombina in trombina, il quale a sua volta permette la formazione di fibrina e quindi del coagulo a partire dalla molecola di fibrinogeno.
La mutazione provoca una maggiore resistenza del fattore V alla sua inattivazione ad opera della proteina C, portando perciò ad una maggiore attività pro – coagulante che predispone alla trombosi.
Origine genetica e trasmissione
L’ipercoagulabilità del sangue è uno dei tre fattori, insieme alla stasi venosa e al danno endoteliale, della cosiddetta “triade di Virchow”, che storicamente descrive i principali meccanismi sottesi alla trombosi; la mutazione del fattore V di Leiden risulta essere piuttosto frequente nella popolazione e si associa ad un aumento patologico della tendenza all’ipercoagulabilità del sangue (trombofilia), ovvero una maggior propensione verso la formazione di coaguli di sangue e conseguenti emboli, con varie e gravi sequele per la salute.
Tale variante origina da una mutazione a carico del gene F5, che nello specifico interessa il nucleotide G1691A.
Come per le più comuni condizioni patologiche secondarie a una mutazione genetica, l’effettiva gravità del disturbo dipende dallo stato della mutazione:
- Omozigosi: sono presenti due copie del gene mutato, il rischio di trombosi è molto elevato, di circa 50 – 100 volte maggiore rispetto al normale.
- Eterozigosi: è presente una copia del gene mutato ed una copia normale, la trombofilia e quindi il rischio di trombosi è più modesto e va dalle 5 alle 10 volte rispetto al normale.
La trasmissione della predisposizione avviene quindi in forma autosomica dominante, ovvero è sufficiente che anche solo uno dei due genitori ne sia affetto per poter trasmettere la mutazione alla prole, ma l’effettiva probabilità di manifestazione dipende dallo stato dei singoli genitori (sani, omozigosi od eterozigosi).
Sintomi
La mutazione del fattore V Leiden non provoca di per sé alcun sintomo; tale variante è piuttosto frequente nella popolazione e provoca soltanto una predisposizione alla trombofilia, ma non è predittiva di trombosi, per questo esistono diversi soggetti che risulteranno asintomatici per tutta la vita e non svilupperanno mai eventuali problematiche correlate e senza mai arrivare a scoprire di essere portatori di tale mutazione.
La trombofilia dovuta al deficit del fattore V di Leiden si presenta principalmente e clinicamente con fenomeni di tromboembolismo venoso e nella fattispecie con un quadro di trombosi venosa profonda agli arti inferiori; nella stragrande maggioranza dei casi la trombosi si verifica solo a livello venoso, e solo in rarissime eccezioni a livello arterioso.
Il sospetto che un soggetto possa essere portatore di una mutazione del fattore V deve nascere in caso di evento trombotico in un paziente relativamente giovane (al di sotto dei 50 anni). Come sempre bisognerà anzitutto inquadrare il soggetto dal punto di vista anamnestico, ricostruendo la sua storia clinica recente e passata. Andrà inoltre verificata la familiarità per episodi di trombosi, soprattutto nei parenti di primo grado.
L’esame obiettivo metterà in evidenza i segni e i sintomi di un eventuale trombosi venosa profonda a carico degli arti inferiori (con arto che si fa edematoso, arrossato, dolente e ipomobile con crampi muscolari) o di un’embolia polmonare con conseguente dispnea e dolore toracico. In quest’ultimo caso diventa dirimente l’esecuzione di esami ematochimici comprensivi di emogas arterioso, di TC del torace con mezzo di contrasto o di una scintigrafia polmonare.
Gravidanza
Il fattore V di Leiden non rappresenta un grave fattore di rischio in corso di gravidanza, sia in eterozigosi che in omozigosi.
Nello specifico, nonostante il rischio trombofilico sicuramente esista e sia aumentato anche a causa dei cambiamenti ormonali tipici della gestazione, non si è dimostrato un aumento delle complicanze in termini di pre-eclampsia, distacco di placenta o di aborto; la gravidanza dev’essere tuttavia monitorata con estrema attenzione per essere pronti ad intervenire in caso di necessità. Il ricorso alla terapia profilattica viene valutato caso per caso dal ginecologo di fiducia, in base alla presenza di altri fattori di rischio trombofilici o pregressi di aborti.
Per approfondire si può fare riferimento alle linee guida SIGO.
Complicazioni
Il fattore V di Leiden aumenta il rischio di trombosi venosa profonda e, conseguentemente, la possibilità che il trombo si frammenti in pezzi più piccoli (emboli) che attraverso la circolazione sanguigna possono raggiungere i polmoni, ostruendo il microcircolo e provocando così un’embolia polmonare, condizione potenzialmente fatale.
Fattori di rischio associati
La trombofilia provocata da questa condizione ha un rischio relativo di trombosi che dipende nel complesso dall’eventuale presenza di altri fattori di rischio, la cui combinazione al fattore V di Leiden determina la cosiddetta espressività del quadro clinico, ovvero la frequenza con cui si presenta un quadro di trombosi e la gravità di quest’ultimo.
I fattori più importanti sono:
- Condizione di eterozigosi o di omozigosi: il rischio di trombofilia e quindi di trombosi è accentuato nei soggetti portatori di mutazione in omozigosi.
- Presenza di altre cause di trombofilia: anche se raramente, in alcuni individui possono coesistere più di 2 fattori di rischio di trombofilia, con notevole aumento dell’incidenza di quadri di trombosi.
- Uso di farmaci ormonali, ad esempio
- contraccettivi orali (come la pillola estroprogestinica)
- terapia ormonale sostitutiva della menopausa
- Grave obesità
- Traumi, soprattutto agli arti inferiori
- Cateterismo venoso centrale o altri accessi vascolari profondi
- Fumo
- Alcune malattie autoimmuni
Prevenzione e terapia
I soggetti consapevoli di essere portatori del fattore V di Leiden vengono consigliati di attuare una profilassi anticoagulante o antiaggregante ogni qualvolta si prospetti l’esposizione ad un fattore di rischio particolare, come nel caso di:
- Trauma o politrauma (come in caso di incidente stradale, colluttazione, precipitazione, ..)
- Allettamento prolungato, come nei soggetti che per altri motivi di salute sono costretti alla degenza ospedaliera per molte settimane
- Immobilizzazione, soprattutto degli arti inferiori, a causa di fasciature particolari o apparecchi gessati
- Intervento chirurgico programmato (dal meno rischioso intervento odontoiatrico a un intervento di chirurgia maggiore)
- Lunghi viaggi, con relativa immobilizzazione per lunghi periodi di tempo
A giudizio medico la prevenzione potrà essere farmacologica (tipicamente basata sull’utilizzo dell’eparina a basso peso molecolare) o, nei casi a rischio ridotto, più conservativa (ad esempio ricorrendo all’uso di calze antitrombo).
L’eparina è un farmaco in grado di rallentare il processo di coagulazione del sangue; può essere somministrata per via sottocutanea, o in casi selezionati, per via endovenosa.
A cura del Dr. Dimonte Ruggiero, medico chirurgo
Fonti e bibliografia
- Harrison – Principi Di Medicina Interna Vol. 1 (17 Ed. McGraw Hill)
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