Test HIV: dopo quanto? Dove? Quando? Tutto quello che devi sapere

Valori Normali

La presenza di anticorpi/antigene indica che l’organismo del soggetto in questione è venuto a contatto con il virus ed ha contratto l’infezione.

Il test può quindi essere:

  • Negativo: assenza di anticorpi/antigene e di malattia
  • Positivo: presenza di anticorpi/antigene che indicano l’avvenuto contagio

Il risultato del test deve essere sempre comunicato al diretto interessato di persona e non dovrebbe mai avvenire tramite lettera o per telefono.

Tipologie di test disponibili

Tra le metodiche principali ricordiamo:

  • Test ELISA (test di terza generazione): questo test era quello più comunemente usato in passato per diagnosticare l’infezione da HIV. Viene ricercata, nel sangue prelevato dal paziente, la presenza di anticorpi contro il virus. La metodica di laboratorio normalmente utilizzata per eseguire questo test è l’ELISA, che dà il nome alla tipologia del test. Poiché il nostro organismo impiega qualche settimana di tempo per produrre gli anticorpi, questo test non è in grado di dare risultati definitivi nel primissimo periodo successivo all’ipotetico comportamento a rischio (periodo finestra). Nel caso in cui si sospetti un’avvenuta infezione è possibile effettuare il test ad un mese di distanza e, nel caso in cui il risultato sia negativo, ripeterlo a tre mesi per escludere la possibilità che sia avvenuta una sieroconversione nel mentre; tre mesi di tempo sono attualmente considerati sufficienti per avere un risultato definitivo, sicuro ed attendibile. Esistono test effettuati con metodiche simili e affidabilità paragonabili, che possono avere normi diversi (ad esempio test ELFA o test MEIA).
  • Ricerca dell’antigene P24: se con il test ELISA è necessario attendere che l’organismo sviluppi gli anticorpi contro HIV e si verifichi quindi la sieroconversione,  con questo tipo di test invece si va a ricercare una proteina di origine virale, l’antigene P24, che aumenta parallelamente alla replicazione del virus e può venire rilevata in fasi più precoci dell’infezione. Questo test può venire eseguito 2-6 settimane dopo il contagio, ma è una metodica meno sensibile dell’ELISA e, dopo questo periodo iniziale, potrebbe risultare negativo anche in presenza di avvenuta infezione.
  • Test combinati Antigene/Anticorpo (test di quarta generazione): Questi test rappresentano di fatto l’attuale gold-standard per lo screening dell’infezione, in quanto è possibile ricercare sia gli anticorpi contro HIV che l’antigene P24 in modo da consentire una diagnosi precoce mantenendo l’elevato livello di sensibilità tipico dell’ELISA. Le attuali indicazioni ministeriali consigliano in questo caso di attendere 40 giorni dal comportamento a rischio.
  • Test rapidi: con il test ELISA è necessario aspettare un periodo di qualche giorno per poter avere i risultati; i test rapidi invece permettono di avere in breve tempo una risposta positiva o negativa; sono test utilizzati principalmente durante le campagne di screening e possono essere utilizzati su sangue capillare o sulla saliva.
  • Test avanzati: Una metodica di laboratorio che viene sfruttata nei test precoci è la PCR, un approccio che consiste nell’identificazione e amplificazione del genoma del virus; si tratta di un test piuttosto costoso e meno affidabile dei precedenti, che per questo va sempre seguito da un test tradizionale che permetta di confermare o smentire il risultato.
  • Test di secondo livello (Western Blot, RIBA, RIPA): Si tratta di test HIV effettuati in caso di positività a uno dei precedenti test di screening, per confermare l’avvenuta infezione ed escludere la rara evenienza di un falso positivo.

Da qualche tempo è inoltre disponibile in farmacia un test per un’autovalutazione che, se usato correttamente, è in grado di di assicurare un’elevata attendibilità:

  • sensibilità del 100% (vengono cioè correttamente riconosciuti tutti i soggetti sieropositivi),
  • specificità del 99.8% (esiste quindi un piccolissimo rischio di falso positivo, ossia di risultato positivo in un soggetto sano; per questa ragione in caso di esito positivo è indispensabile prendere contatti con il proprio medico per una conferma di laboratorio).

Può essere eseguito in autonomia in seguito al prelievo di una goccia di sangue dal dito, il risultato viene fornito in pochi minuti e anche in questo caso il periodo finestra è di 3 mesi. Se il test risulta essere positivo è indicata l’esecuzione di un ulteriore test di conferma in una struttura ospedaliera.

Test di controllo dell’infezione

Una volta accertata l’avvenuta affezione da HIV è necessario monitorare il proprio stato di salute, il controllo della malattia e l’efficacia della terapia mediante alcuni esami che mirano a valutare la:

  • Carica virale nel sangue: indica il livello di copie di virus circolanti. Nei casi in cui la terapia sia efficace la carica virale risulta essere bassa.
  • Conta dei linfociti T CD4: questo particolare tipo di cellule tende a calare con l’evoluzione della malattia, soprattutto se non ci si sottopone alla terapia. Nel momento in cui i livelli di linfociti T CD4 scendono al di sotto di una determinata soglia il soggetto è a rischio di sviluppare infezioni opportunistiche e tumori. Il mantenimento di un buon livello di linfociti T CD 4 indica l’efficacia della terapia e un buon controllo dell’infezione.

(Attenzione, gli intervalli di riferimento possono differire da un laboratorio all'altro, fare quindi riferimento a quelli presenti sul referto in caso di esami del sangue ed urina.)

Descrizione

Il test per l’HIV è l’unica metodica disponibile che permetta di identificare con certezza un’avvenuta infezione perché, come descrive la LILA, l’infezione “non può essere diagnosticata attraverso i sintomi né attraverso le comuni analisi del sangue.”

Eventuali sintomi che conseguono al contagio infatti non solo non sono sempre presenti ma, anche qualora lo fossero, sono in genere estremamente vaghi ed aspecifici (determinano una condizione chiamata sindrome retrovirale acuta, che non permette di fare diagnosi perché con manifestazioni troppo simili ad altre infezioni).

Il test può essere eseguito presso le Aziende Sanitarie Locali e i reparti di malattie infettive e tropicali ospedalieri. Le modalità d’accesso possono variare a seconda del distretto e dell’ospedale di riferimento, ma per legge è possibile accedere al servizio in assenza di prenotazione (senza ricetta), gratuitamente e in maniera anonima. È possibile anche procedere al test presso laboratori privati, ma in questo caso il test è ovviamente a pagamento. Si noti che ad oggi i minori non possono accedere al test senza il preventivo consenso dei genitori, ma la situazione è oggetto di verifica da parte del Ministero e si spera che presto la situazione possa cambiare.

In molti centri (tipicamente in quelli pubblici) viene offerto anche un servizio di counselling in cui un professionista sanitario è a disposizione dell’assistito per fornire informazioni riguardo alle modalità di trasmissione di HIV, l’identificazione di eventuali comportamenti a rischio e per illustrare l’iter da seguire più indicato a seconda del caso.

Si ricorda che è possibile essere già contagiosi anche in presenza di test negativo, se questo viene eseguito prima della scadenza del periodo finestra.

Provetta di sangue con la scritta HIV

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Quando fare il test?

È considerato definitivo:

  • un test di quarta generazione eseguito ad almeno 40 giorni dal comportamento a rischio,
  • un test di terza generazione eseguito ad almeno 90 giorni dal comportamento a rischio.

Profilassi post esposizione

In caso di fondato sospetto di esposizione al rischio di contagio da HIV (ad esempio dopo commistione di sangue o rapporti sessuali con un soggetto con infezione nota o genericamente a rischio) è possibile recarsi in Pronto Soccorso per valutare la possibilità di effettuare una profilassi post-esposizione, che consiste nell’assunzione di farmaci antiretrovirali a scopo preventivo.

Affinché la profilassi sia efficace, e possa cioè avere buone probabilità di impedire la trasmissione dell’infezione, deve essere somministrata in tempi brevissimi, idealmente entro le 4 ore dal potenziale contagio e comunque non oltre le 72.

L’importanza della diagnosi precoce

Le persone sieropositive, se adeguatamente seguite e trattate, possono attualmente godere di un’aspettativa di vita pressoché sovrapponibile a quella della popolazione generale e portare avanti sogni e progetti personali, compreso quello di diventare genitori; si parla infatti ad oggi di malattia cronica e non più mortale, se correttamente gestita e trattata.

La prevenzione e l’eliminazione di comportamenti a rischio sono considerate le armi principali nella lotta di questa malattia ma, a contagio già avvenuto, la diagnosi precoce ricopre un ruolo altrettanto importante. Permette infatti di ricevere le cure e il sostegno adeguati e la consapevolezza di aver contratto l’infezione offre la possibilità di prevenire il rischio di trasmissione.

L’inizio precoce della terapia antiretrovirale diminuisce la capacità infettiva di HIV, abbassando notevolmente il rischio di contagio, ed è in grado di migliorare la qualità e la durata della vita di chi è affetto.

Per le persone che risultano sieronegative invece il test è motivo di rassicurazione e deve spingerle ad evitare, in futuro, ogni possibile comportamento a rischio adottando le generali regole di prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale e parenterale.

Per accedere ad informazioni scientifiche e aggiornate su questo tema e più in generale sulle malattie trasmesse per via sessuale è possibile fare riferimento al numero verde 800.861.061 dell’Istituto superiore di sanità.

Interpretazione

Nel caso in cui il primo test effettuato risulti positivo è necessario eseguire un secondo test, detto WesternBlot, che consente di escludere eventuali falsi positivi.

In rarissimi casi è infatti possibile che il primo test eseguito (generalmente un test combinato o un test Elisa) dia un risultato positivo in assenza di infezione, perché i test di screening sono studiati per ridurre quanto più possibile il rischio di falsi negativi (negativo può in presenza d’infezione), al costo di un maggior rischio di falso positivo (positivo, pur in assenza d’infezione); per questo motivo viene eseguito un ulteriore test che permetterà di confermare o meno il risultato.

Il WesternBlot non viene proposto come test iniziale perché ha una minore sensibilità rispetto all’elisa e rischierebbe quindi di identificare come negativo qualche caso positivo; è invece dotato di elevata specificità ed è quindi in grado di indicare con un buon livello di certezza se una persona con test positivo sia effettivamente affetta da HIV o meno.

Riassumendo:

  • Il test combinato permette di abbattere il rischio di falsi negativi, al prezzo della possibilità di ottenere dei falsi positivi; l’obiettivo è di individuare TUTTI i soggetti infetti.
  • Il test WesternBlot al contrario potrebbe generare falsi negativi, per questo non è adatto come test di screening.

Fattori che influenzano l'esame

L’eventuale assunzione di farmaci e sostanze d’abuso non interferisce con l’esito del test.

Quando viene richiesto l'esame

La maggior parte dei test HIV disponibili in commercio va a ricercare la presenza di anticorpi che il nostro organismo produce una volta venuto a contatto con il virus.

La produzione anticorpale non è immediata, è invece necessario attendere un certo periodo di tempo affinché questi anticorpi vengano prodotti e siano rilevabili nel sangue: il periodo che trascorre tra l’avvenuta infezione e la sieroconversione (positività alla ricerca di anticorpi circolanti) viene definito periodo finestra. In questo frangente infatti un test sierologico potrebbe risultare negativo nonostante il soggetto in questione abbia effettivamente contratto l’infezione, perché gli anticorpi non sono ancora rilevabili nel sangue.

La durata del periodo finestra varia a seconda del tipo di test utilizzato ed è quindi consigliato attenersi alle indicazioni fornite dal centro diagnostico di riferimento; in base alle indicazioni del Ministero in generale si consiglia di:

  • attendere 40 giorni (periodo finestra) dall’ultimo comportamento a rischio in caso di un test di IV generazione (test combinato anticorpi antiHIV e antigene P24),
  • attendere 90 giorni nel caso di un test di III generazione (solo anticorpi anti-HIV), eventualmente sottoponendosi già una una prima volta a 30 giorni per ritrovare una certa serenità.

Preparazione richiesta

Non è necessaria alcuna preparazione specifica ed è possibile sottoporsi al test in qualsiasi momento; non è necessario presentarsi a digiuno.

Altre informazioni

Cosa sono i falsi negativi e i falsi positivi?

  • In alcuni casi il test potrebbe fornire un esito negativo anche in soggetti sieropositivi (falso negativo), tipicamente nel caso in cui ci si sottoponga al test prima del termine del periodo finestra.
  • Il caso contrario, un esito positivo in un soggetto sano (falso positivo) è la ragione per cui si procede a un esame di verifica (di norma Western-Blot) che fornirà un esito conclusivo.

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Importante

Revisione a cura del Dott. Roberto Gindro (fonti principali utilizzate per le analisi http://labtestsonline.org/ e Manual Of Laboratory And Diagnostic Tests, Ed. McGraw-Hill).

Le informazioni contenute in questo sito non devono in alcun modo sostituire il rapporto medico-paziente; si raccomanda di chiedere il parere del proprio dottore prima di mettere in pratica qualsiasi consiglio od indicazione riportata.